Identità

Amo la persona con cui sto, ma vorrei non viverci insieme. È strano?

Abbiamo chiesto a uno psicologo se la convivenza è sopravvalutata nelle relazioni e come affrontare il discorso con la persona con cui stai.
Giulia Trincardi
Milan, IT
stare insieme ma vivere separati
Illustrazione via AdobeStock.

Durante la quarantena su VICE avevamo avviato un appuntamento periodico, una specie di angolo in cui raccogliere i nostri pensieri, metterli sotto forma di domanda e lasciare che fosse una figura esperta a rispondere. Ora, anche tramite il contributo di altre redazioni di VICE, il discorso è stato ampliato. Da come fare i conti con un amore non corrisposto a come gestire coinquilini insopportabili, proveremo a offrire qualche consiglio. Oggi, parliamo di convivenza e relazioni.

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Ciao VICE,

Ho una relazione meravigliosa da diversi anni, i primi due vissuti a distanza (in parte mentre io finivo gli studi all’estero), gli ultimi tre a convivere. Nonostante volessimo tantissimo vivere insieme, la realtà delle cose si è rivelata complicata: l’arrivo del mio compagno nella casa dove vivevo già con amici ha cambiato gli equilibri nel gruppo e, soprattutto, ci siamo accorti che come coppia abbiamo un modo molto diverso di concepire e gestire lo spazio.

Per me la casa è sacra—ogni oggetto che contiene ha un significato, e tenere in ordine gli ambienti domestici mi aiuta a mantenere anche un ordine mentale—mentre per lui “è solo un contenitore”: l’ordine è stato motivo di scontro per tutto il primo anno di vita insieme. Tutt’ora—per quanto abbiamo trovato parecchi compromessi e non abbiamo più coinquilini extra—i momenti di lontananza fisica per motivi di lavoro o famiglia sono sempre una specie di sollievo, in cui recuperiamo la dimensione dei primi anni a distanza e non litighiamo per la gestione dello spazio e per le dinamiche della convivenza (chi lava, chi cucina, chi butta l’immondizia).

Mi trovo, alle volte, a invidiare amiche e amici che vivono soli e non devono fare compromessi di alcun tipo con le persone che frequentano. È normale pensare che la convivenza sia sopravvalutata nelle relazioni? È possibile coltivare una relazione intima e profonda senza vivere sotto lo stesso tetto? 

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O. 

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Cara O.,

Andare a convivere con altre persone nel momento in cui si lascia la casa dove si è vissuto con la propria famiglia è sempre un cambiamento importante, che comporta un inevitabile processo di adattamento—non per forza negativo in tutti i suoi aspetti (pensa, per esempio, a tutta la libertà che guadagni), ma di certo diverso dalle dinamiche sedimentate negli anni di convivenza con familiari. 

Quando si lascia la casa della propria famiglia, tutta una serie di responsabilità e doveri legati all’ambiente domestico possono rappresentare un carico inaspettato: se prima erano soprattutto i genitori a occuparsi di cose come bollette, pulizie e spesa, dover gestire autonomamente o dividere questi compiti con nuove persone implica negoziare ruoli nuovi. Cosa vera anche quando la convivenza coinvolge una coppia. 

“La convivenza è un momento in cui le abitudini dell’abitare di due persone si incontrano e scontrano,” spiega a VICE Raffaele Simone, psicologo clinico e consulente sessuale che lavora a Milano. “Potrebbero quindi diventare un motivo di conflitto, ma anche di crescita reciproca, poiché possiamo imparare molto dai reciproci partner,” prosegue Simone, specificando che non bisogna sottovalutare quanto il confronto con l’altra persona possa “migliorare le nostre abitudini in casa.” 

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Nella tua confessione, parli di un modo di interpretare lo spazio diverso tra te e il tuo compagno, cosa che, conferma Simone, è legata “al valore che ognuno di noi dà alla casa e ai suoi oggetti. Molte delle nostre abitudini su come gestire e vivere la casa sono apprese dalla nostra famiglia,” prosegue.

Ma non tutte le famiglie sono uguali. “Pensiamo a chi deve lasciare casa spesso per qualsivoglia ragione,” spiega Simone. “Affezionarsi a quel luogo potrebbe significare presagire un dolore nel lasciarlo e, poiché la mente è economica, quella persona è per questo portata inconsciamente a non affezionarsi alla casa.” 

Per alcune persone, insomma, l’attaccamento agli oggetti può essere un modo per elaborare una distanza: magari nella tua casa da adulta hai portato il tavolo appartenuto a una nonna che non c’è più e per te è un ricordo importante e positivo. Ma per un’altra persona un oggetto simile potrebbe soprattutto evocare malinconia e il distacco dalla componente materiale della propria storia familiare corrisponderebbe per lei a una strategia di elaborazione più funzionale. 

Ovviamente, considera anche che la pandemia da COVID-19 ha estremizzato i sentimenti delle persone verso le proprie abitazioni. Anche al netto delle situazioni più gravi che la pandemia ha esacerbato—come la convivenza forzata con partner abusivi, o quella con famiglie molto numerose in spazi ridotti, o la solitudine estrema—per la maggior parte delle persone per molti mesi “tutte le abitudini si sono spostate e svolte all’interno dell’abitazione,” spiega Simone. “La casa è diventata ufficio, palestra e persino panificio. Sicuramente questo ha portato molte persone a sentire l’esigenza di un investimento,” come i picchi di ricerche immobiliari dimostrano, “ma altre a provare sentimenti di odio per l’abitazione in cui sono state chiuse per tanto tempo.” 

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Se per te prenderti cura della casa è stato un modo per prenderti cura di te stessa, forse nel tuo compagno si è manifestato piuttosto il bisogno di vivere all’esterno, uscendo più spesso, viaggiando e preoccupandosi meno delle faccende domestiche, che rappresentano, in un certo senso, una perdita di tempo rispetto alla vita che sente di aver “messo in pausa” durante la pandemia.

Il lavoro domestico—che in Italia nelle coppie eterosessuali pesa ancora in modo sproporzionato sulle donne—è un argomento di per sé molto complesso, legato a sua volta all’educazione familiare, spiega Simone, che sta cominciando a cambiare solo di recente. Il miglior modo per scardinare il fatto che certe responsabilità siano attribuite di default a un genere piuttosto che a un altro, “è far capire all’altra persona che abbiamo bisogni nostri, tanto lavorativi che legati al tempo libero,” spiega, “e che la differenziazione dei ruoli sulla base del genere è qualcosa che possiamo lasciare nel passato.” 

La comunicazione, dunque, è uno strumento a dir poco necessario per arrivare ai compromessi di cui parli tu stessa. Nessun compromesso è perfetto, ma è fondamentale che non sia basato sull’instillare un senso di colpa nell’altro. “Se una persona non è in grado di fare qualcosa perché non ha mai imparato a farla, insegnargliela deve essere un processo arricchente e non svilente,” spiega Simone. “Ricordiamoci che siamo persone a prescindere dalle nostre capacità di gestione di una casa.” 

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Se, da quanto racconti, il confronto su questo tema nella vostra coppia appare sempre fermo allo stesso punto, Simone consiglia di riflettere su quanto sia invalidante. “Queste problematiche cambiano il vostro sentimento? Iniziate a chiedervi questo, ascoltate le vostre ragioni e motivazioni e imparate l'uno dall’altra.” Esistono spesso, in altre parole, visioni del mondo irriducibilmente diverse tra le persone; sta a ognuno determinare quali sono tollerabili, quali no.

Di base, il processo di rinegoziazione dei termini di una relazione che avviene ciclicamente—soprattutto nelle relazioni a lungo termine—può assolutamente includere una revisione degli spazi e del senso della convivenza. “‘Il sentimento non ha confini,’ è una frase banale ma vera,” rassicura Simone a proposito della possibilità di portare avanti una relazione profonda senza necessariamente vivere sotto lo stesso tetto. “Dipende sempre da quanta importanza e che valore diamo al vivere insieme,” e stabilire questi termini spetta solo alle persone coinvolte in una relazione. “Le abitudini dei più non fanno una verità,” sottolinea Simone, ed esplorare almeno una fase della relazione scegliendo di vivere separatamente è una possibilità che non va esclusa solo per aspettative sociali

Al netto delle questioni economiche—che sono ovviamente una variabile molto importante nello scegliere di vivere soli, soprattutto in grandi città—potete considerare la relazione sotto tetti diversi come un esperimento comune. Il miglior modo per approcciare questo discorso, spiega Simone, è “facendo capire che i desideri personali, come stare in un posto proprio, non cambiano l’affetto e il sentimento che si prova per la persona con cui si sta. Avere ‘un’area segreta’ nella propria vita permette di mantenere uno spazio di sviluppo personale che non ci rende dipendenti da ciò che fa il partner.”

In fondo, per una generazione abituata a muoversi molto di più di quelle precedenti e ad attuare pratiche di vita condivisa molto più dinamiche e fluide, la convivenza oggi è già molto diversa da quello che era il matrimonio una volta. “Quando stiamo con qualcuno, sappiamo che c’è perché ci fidiamo del rapporto che abbiamo,” conclude Simone. “Quindi anche non vivendo insieme, sappiamo che ci siamo l’uno per l’altro e questo permette di stare bene anche senza vedersi quotidianamente o vivendo insieme.”