Se siete soliti prendere treni regionali e metro in Italia probabilmente non fate nemmeno più caso ai graffiti sulle fiancate, ma forse vi siete chiesti almeno una volta chi li faccia, quando, come e perché.
Il “train bombing”, ovvero fare i graffiti sui treni, è un’attività illegale che può costare multe e giorni di prigione, a seconda del paese e dei precedenti penali del writer. Ogni paese ha poi metodi propri per trovare i responsabili, che vanno dai rilevatori olfattivi alle fotocellule, dai software dedicati alle impronte digitali.
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A raccontarmelo—a patto di rimanere anonimo—è stato un ragazzo di 23 anni, che da anni fa il train bomber e che ha girato l’Italia e l’Europa con la sua crew.
VICE: Qual è stato il tuo primo graffito su un treno?
Anonimo: Avevo 16 anni ed ero in vacanza con i miei in Puglia. Era già un po’ di tempo che mi appassionavo ai graffiti e alle firme in giro, sui muri dei bagni a scuola per esempio. Una sera mi sono inventato una scusa, sono andato alla stazione e ho fatto il mio primo graffito “per sfogarmi”. L’ho fatto su un vecchio treno alimentato a gasolio, una Littorina. Avevo comprato tre colori in un ferramenta: nero, giallo, rosso. Ho lasciato la mia firma sotto a un finestrino. Quando sono rientrato ero eccitatissimo, non riuscivo a stare fermo. Non vedevo l’ora di rifarlo. L’unica nota negativa è che non ho fatto nemmeno una foto per ricordo/testimonianza—ora invece lo faccio sempre.
Perché?
Essendo produzioni effimere che hanno vita per qualche giorno, o in alcune casi qualche ora, è l’unico modo di conservarne il ricordo. E poi funziona come per i pescatori che devono dare prova delle dimensioni del pescato: altrimenti i tuoi “colleghi” non ti credono.
Ok, e quanti graffiti sui treni hai fatto, dopo quello?
Il secondo graffito l’ho fatto circa sei mesi dopo, insieme ad amici che ora sono usciti dalla scena—uno di loro dipinge, un altro fa il calligrafo. Adesso, nei periodi buoni, ne faccio fino a un paio alla settimana.
Il motivo per cui lo faccio è stare bene e divertirmi coi miei amici, oltre all’adrenalina e alla volontà di collezionare quanti più treni e modelli possibili: quando ho fatto il primo graffito non sapevo che si trattava di una Littorina, ma adesso la riconoscerei subito—come il Minuetto, il Vivalto, il Jazz, il Taf, l’Interregionale, il 464, il 353 (questi ultimi prendono il nome dai numeri di finestrini che ci sono tra porta e porta in un vagone).
I train-bomber sono organizzati in crew—come agiscono, e quali sono i rapporti tra loro?
Le nostre azioni sono studiate a tavolino, frutto di appostamenti, considerazioni e giornate di studio tutti insieme. Spesso tengo d’occhio i bollettini per capire quali treni sono stati soppressi, e dal numero e dal modello deduco dove si fermeranno e per quanto tempo, se incrocio i dati con i quadri orari. Conosco molte stazioni, le vie di accesso e di fuga, che spesso coincidono.
Per quanto invece riguarda i rapporti tra crew, siano dentro o fuori dall’Italia, sono variabili: ci sono gruppi amici e gruppi nemici al punto da cercare di boicottarsi a vicenda, per esempio urlando, tirandosi pietre o inseguendosi. L’unica cosa che davvero non si fa mai è la spia con la polizia.
A proposito di polizia, dato che hai esperienza un po’ di tutto il continente, com’è la situazione italiana comparata a quella del resto dell’Europa?
Diciamo che la regola generale è non fare casino—puoi pure fumare una canna o bere, basta che poi non fai rumore, altrimenti la situazione può degenerare. E per non fare casino intendo ogni dettaglio, arriviamo ad applicare una calamita sul fondo della bomboletta per non fare sentire la pallina, anche se è uno degli stratagemmi meno sofisticati. Se ti beccano sono guai veri, anche se di diversa entità. Quando ti prendono per la prima volta in Italia o in Francia di solito ti fanno una multa. I più rigidi sono gli svedesi, a quanto so lì ti fai almeno due settimane di prigione. Ma più vai a nord in Europa più le strategie della polizia sono sofisticate ed efficaci.
Puoi farmi qualche esempio a proposito di queste strategie? Che strumenti usano?
Ce ne sono diversi. A Berlino, per esempio, hanno dei sensori olfattivi nei tunnel per segnalare se qualcuno sta usando una bomboletta, in Olanda utilizzano un software che riconosce lo stile dei graffiti e potrebbe provare la reiterazione del reato. Ti beccano per un graffito e inaspriscono la pena perché sanno che ne hai fatti altri. In Francia, ma non solo lì, ti prendono le impronte digitali e le confrontano con quelle trovate sulle bombolette abbandonate. Per questo a volte andiamo a comprare le bombolette con i guanti di lattice addosso. Però questo vale solo per l’Europa del Sud, perché al Nord le bombolette le rubano, considerano il furto parte del rituale.
Ti è capitato spesso di dover scappare dalla polizia?
Molte volte, ma se consideriamo solo i pericoli reali e “verificati”, direi tre volte. Con il tempo ho imparato che correre via al primo rumore non serve. È più saggio prendersi qualche istante per capire se l’emergenza è concreta, poi reagire di conseguenza: spesso basta nascondersi, perché magari la persona che senti arrivare non è altro che un manutentore o un “passante”. Non per forza è la polizia.
Che poi spesso da noi gli incaricati della sicurezza e la polizia urlano molto e corrono poco, mentre all’estero è il contrario—tendono a lasciarti finire il graffito per riconoscere la firma, magari confrontarla con altre che hanno in archivio e inasprire la pena a causa della reiterazione del reato. Che è un po’ quello che penso stia facendo adesso la squadra anti-graffiti a Milano, e mi risulta che lavorino bene, dal loro punto di vista.
Quindi per certi versi, in Italia la vita del train bomber è meno complessa che all’estero?
È decisamente più semplice. Le uniche complicazioni sono causate dal degrado e dalla disorganizzazione delle ferrovie, che rendono del tutto inutile stabilire le regole con troppa precisione.
Nel Nord Europa è più difficile, perché anzitutto lì i graffiti sui treni non sono accettati socialmente, si tratta di realtà in cui ci sono pochissimi problemi di decoro, quindi vengono visti come una cosa grave. perciò qualunque cittadino che sia infastidito dalla tua azione può rincorrerti e consegnarti alla polizia. E poi in alcune città il rischio legato agli attentati terroristici è alto, quindi il sistema di sicurezza è molto efficiente. Se la gente vede un graffito pensa che nel tempo in cui è stato realizzato un terrorista avrebbe potuto piazzare diverse bombe—e a modo suo ha ragione. È una questione di percezione.
Da quello che dici mi pare di capire che i treni dell’Europa del Nord, essendo i più difficili, siano anche i più ambiti. Mi puoi raccontare alcune delle tue azioni più audaci? So che hai avuto qualche esperienza al limite, al nord.
È un’esperienza che coinvolge uno degli aspetti che devi per forza mettere in conto se vuoi pittare i treni: l’attesa. Quel giorno volevamo entrare in un deposito della linea metropolitana. C’erano fotocellule che segnalavano i movimenti, ma venivano attivate solo nelle ore di inattività notturna. Il resto del giorno, dalla mattina fino alla sera tardi, c’erano operai al lavoro. Quindi bisognava entrare mentre gli operai erano in azione e colpire nella pausa per la cena, perché in quella parentesi i sensori restano inattivi nonostante non ci sia nessuno.
Ci siamo travestiti con le giacche catarifrangenti, ci siamo sistemati in una zona riservata agli attrezzi e abbiamo aspettato. Ma gli operai hanno cenato in momenti diversi, quindi non c’è mai stata una pausa vera e propria. Quando se ne sono andati hanno azionato il sistema, e per noi la prospettiva era dormire lì. Sarebbe stato scomodo, ma tollerabile. Il mio socio però russava. Russava troppo, era insopportabile. Mi sono spazientito al punto da costringerlo ad andare via. Le fotocellule hanno registrato il movimento, sono scattate, ma siamo riusciti a correre fuori senza essere individuati.
Quindi alla fine non ce l’avete fatta. E invece un’azione andata a buon fine?
Ancora una volta in un paese sul Mare del Nord. Sapevamo che il treno si sarebbe fermato in una certa area, ma la scarpata che affiancava i binari era troppo ripida. Nei giorni precedenti ci siamo travestiti da operai, ci siamo muniti di badili e abbiamo creato una specie di piano orizzontale. L’azione vera e propria, poi, è venuta benissimo.
Ho anche fatto cose abbastanza matte, tipo usare pompe in rame da agricoltura o estintori—l’ho fatto seguendo il tutorial di un ragazzino americano. Lo apri nella parte superiore, togli la polvere, lo riempi di vernice, richiudi e apri la valvola della pressione. Il getto è più ampio e si risparmia anche in termini di tempo.
Qual è la tua “firma”—hai uno stile particolare?
La mia firma è volutamente ignorante, voglio che la gente più che poterla apprezzare per la sua forma ne sia infastidita. Uso diffusori con il tratto sporco. Il mio stile è gretto, ispirato ai primi graffiti fatti a New York.
Lascio sempre gli angoli superiori dei vagoni scoperti per riconoscere la livrea che c’è sotto—voglio collezionarli tutti, anche modelli uguali ma con colorazioni diverse.
Pensi che prima o poi ti beccheranno?
Sì, l’ho messo in conto e sarò pronto ad assumermi le mie responsabilità. Se ci sarà una multa non mi tirerò indietro, se avessi pagato la tessera di un qualsiasi club per tutti questi anni avrei speso la stessa cifra, o forse di più. L’importante è che mi lascino finire il graffito che ho iniziato, perché potrebbe essere l’ultimo—oppure no, vediamo.
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