La città di Brighton & Hove, dove vive Nick Cave, è un posto fuori dal tempo. King’s Road, che si snoda lungo la costa, è costellata di vecchi hotel con l’intonaco crepato, mentre turisti e residenti popolano la spiaggia e mangiano gelato o fish and chips con purè di piselli, quando il tempo è bello. E non è facile capirlo—una bella giornata di sole può rapidamente venire spazzata via dalla nebbia che sale dall’acqua, trasformando la città in una lenta e fumosa città fantasma, il lungomare con i suoi famosi moli avviluppato dal grigio e a malapena visibile. Cave stesso ha parlato della natura tempestosa di Brighton nel film del 2014 20,000 Days on Earth, dicendo di essere in grado di controllare il tempo: venti ghiacciati, tempeste da giorno del giudizio, cieli di un blu impossibile. Poi, ha aggiunto: “Solo che non riesco a controllare i miei sbalzi d’umore, purtroppo”. La città, così lunatica, sembra il posto perfetto per far prosperare la scrittura tempestosa e soprannaturale della rock star australiana.
E così, Brighton ha conquistato Nick Cave. Ma nell’ultimo paio d’anni le cose sono cambiate.
Videos by VICE
“È diventato allo stesso tempo un posto più bello dove vivere e un posto dove non possiamo più vivere” dice il 59enne Cave. “È troppo difficile. Riecheggia di significati. Troppi significati.”
Nell’estate del 2015, Arthur, quindici anni, il figlio di Nick Cave, muore lanciandosi dalle bianche scogliere dell’Ovingdean Gap durante un trip da acido andato male. In una giornata particolarmente tersa, il bordo della scogliera che si affaccia su quello che sembra un infinito panorama di cielo e acqua si intravede dalla porta di casa di Cave. In quel momento, quello che diventerà il devastante disco dei Bad Seeds uscito nel 2016, Skeleton Tree, era già stato ampiamente concepito, e quando la band torna in studio alcuni mesi dopo la morte di Arthur per concluderlo, il suo normale equilibrio è stato incontrovertibilmente alterato.
“È diventato allo stesso tempo un posto più bello dove vivere e un posto dove non possiamo più vivere.”
“Nessuno era effettivamente in grado di fare nulla in studio”, dice Cave. “Il che penso sia stata una buona cosa, perché ha permesso alle canzoni di resistere i tentativi di cambiamento. Avevamo soltanto queste canzoni estremamente grezze che risuonavano di sentimenti riguardo a quanto era appena successo, uno specchio di questo terribile incidente. E più le modificavamo, più questo effetto si riduceva. Quindi siamo stati in grado di far uscire questo disco che è davvero molto puro, con pochissimo artificio. Devo dire che, quando ci trovavamo in studio a cercare di lavorare su Skeleton Tree, io non avevo idea di cosa stesse succedendo.”
Skeleton Tree pulsa di dolore, i suoi synth irradiano stupefacente morbidezza, facendo convergere diversi piani dell’esistenza mentre Cave canta versi come: “Sapevo che il mondo avrebbe smesso di girare adesso, ora che te ne sei andato”. Il film che accompagna l’album, One More Time With Feeling, riesce a sferrare un colpo ancora più devastante, catturando le fasi finali della registrazione mentre Cave lotta per trovare le parole per descrivere quello che sente stia succedendo a sé e alla sua famiglia. È stato creato per spiegare l’album senza dover avere a che fare con i giornalisti.
“Devo dire che, quando ci trovavamo in studio a cercare di lavorare su Skeleton Tree, io non avevo idea di cosa stesse succedendo.”
Il film ritrae un uomo perso, ma anche una famiglia—che viene estesa dalla moglie di Cave Susie e dal gemello di Arthur Earl fino a tutte le persone coinvolte nell’album e nel film—che cerca di venire a patti con il fatto di dover lavorare in un clima enormemente, inimmaginabilmente traumatizzato. Si parla del misterioso e potenzialmente chiaroveggente potere della scrittura di Cave che, considerato il contesto di molti testi di Skeleton Tree, fa accapponare la pelle. In una scena Susie, trattenendo a stento le lacrime, rivela un dipinto fatto da Arthur che ritrae un mulino a vento a pochi passi dal punto in cui è morto. Quando Earl passa per lo studio—l’ultima volta che lo avevamo visto stava mangiando una pizza con Arthur e suo padre guardando Scarface in 20,000 Days on Earth—la sua presenza rende l’assenza del fratello palpabile. Nelle interviste, il solitamente eloquente Cave sembra paralizzato, senza parole. Nella narrazione fuori campo del documentario, le parole che trova, per quanto spesso piene di gratitudine e riflessività, sembrano quasi spettrali.
Nonostante tutto, One More Time with Feeling si conclude con ottimismo, mentre Cave spiega fuori campo che lui e Susie hanno preso la decisione di essere felici come “atto di vendetta, atto di disobbedienza”. È una decisione che continuano a prendere ogni giorno.
“Più ci allontaniamo da quel momento, più diventa facile—anche se non è sempre possibile—più diventa facile dividere il tuo tempo”, dice Cave. “Quindi c’è quello che chiamiamo il tempo del ricordo e poi c’è il tempo in cui lavoriamo, e riusciamo abbastanza bene—non sempre—a separarli in qualche modo. E nel tempo del ricordo, le cose possono diventare… Non siamo in condizioni di lavorare. Ma siamo in grado di uscire da quello stato in modo abbastanza bene e lavorare e e stare insieme e tutte quelle cose. Quindi continuiamo a migliorare. È… Sai… Non sempre un successo. Prima era soltanto caos. Era soltanto assoluto caos emotivo 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Non riuscivamo… Non avevamo alcun controllo su nulla, e c’è voluto un po’ per—è una strana espressione—organizzare le nostre emozioni. Altrimenti non riesci proprio a vivere.”
Alle idi di marzo, seduto a una grande tavola di legno in mezzo alla cucina e avvolto dal suo tipico vestito nero stretto con camicia bianca, Cave parla lentamente, a bassa voce, con tono assorto, prendendosi tutto il tempo che gli serve per essere sicuro di dire quello che vuole esattamente come vuole dirlo. Ma è anche caloroso e colloquiale, perfino divertente—ben lontano dal terrificante “incubo” tossico che era una volta. Nei giorni precedenti al nostro incontro, il pensiero del Nick Cave mangia-giornalisti mi ha preoccupato un bel po’. Dopotutto, anche i più masochisti tra noi non vorrebbero trovarsi a gestire una conversazione con un artista tanto brillante quanto scontroso.
Ma tutto il terrore che incuteva in passato sembra ormai un lontano ricordo per Cave a questo punto. Il suo stesso corpo sembra irradiare un’intensità quieta e pesante. Si offre immediatamente di prepararmi una tazza di tè prima ancora che abbiamo finito di stringerci la mano. Non sembra meno mitico di ognuno dei suoi sé passati. È solo che il mito è cresciuto e cambiato e ora è un’altra cosa.
Un vecchio orologio Kit-Cat fa tic-toc sul muro vicino alla finestra della cucina, a pochi metri da dove siamo seduti. Casa sua è piena del tipo di oggetti che ci si aspetterebbe—abiti della collezione di Susie, The Vampire’s Wife, scaffali pieni di libri tenuti bene—ma anche di alcune cose che stupiscono, come il cuscino ricamato con il testo di “Wide Lovely Eyes” (da Push the Sky Away) o un mucchio di strumenti per bambini, compreso un ukulele a forma di SpongeBob. Sembra una casa amata, ma conserva anche una certa freddezza, e i commenti di Cave sull’incapacità della propria famiglia di continuare a vivere qui hanno ancora più peso fra queste mura.
La casa stessa è tra i protagonisti di One More Time With Feeling, resa ancora più fredda e solitaria dal bianco e nero del film. Il caro amico di Cave Andrew Dominik, che gli era vicino al momento della morte di Arthur, ha diretto il film. Quando Dominik ha detto a Cave che avrebbe parlato della perdita di Arthur nel film, Cave—che “non [era] in condizione di prendere alcuna decisione al riguardo, nemmeno se approvare o no la realizzazione del film”—ha risposto: “Senti, fa’ un po’ il cazzo che ti pare”.
Al momento di visionare il prodotto finito, il finale non gli è piaciuto “per un cazzo” e nemmeno le sue interviste. Fortunatamente, attorno a lui c’erano persone pronte a dirgli di non toccare e lasciare tutto com’era.
“A quel punto io e Susie abbiamo semplicemente lasciato perdere”, dice Cave. “È stato solo dopo la prima, c’era questo incredibile… sui social media era pieno di gente che parlava di come il film l’aveva fatta sentire. Davvero stupefacente. Mi hanno fatto vedere questa roba, come il film aveva condizionato le persone, gente che aveva storie simili. Veniva fuori di tutto. Così mi sono reso conto che c’era qualcosa di molto speciale in questo film, così sono andato, ho affittato un cinema e l’ho riguardato di nuovo, e mi sono reso conto di come Andrew avesse creato un regalo, in un certo senso. Ha avuto un impatto enorme su di me, e mi ha fatto davvero cambiare prospettiva, in termini di sentimenti e del mio posto nel mondo.”
Cave dice queste cose con una sicurezza del tutto assente in One More Time With Feeling, e mentre spiega l’aiuto inaspettato dalla sua stessa arte che ha percepito guardando il film, la gratitudine verso Dominik è chiara. È una cosa profondamente bella da offrire a qualcuno—un documento che ritrae il modo in cui una vita, o l’improvvisa perdita di una vita, altera le persone nella propria orbita. Viene da pensare che il film non abbia aiutato Cave solo nella comprensione del proprio dolore, ma abbia anche approfondito ulteriormente il suo rapporto con Arthur.
“Andrew è riuscito a creare questo film straordinario, che credo abbia fatto come una specie di regalo, per restituire qualcosa a me”, dice Cave. “E ad Arthur. Penso che questo fosse il suo obiettivo, che al momento io ignoravo assolutamente.”
Il potere del film, dice Cave, si è trasferito nei concerti che la band ha fatto quest’anno. L’album è talmente diverso dai dischi dei Bad Seeds precedenti che la sfida non è stata farlo rientrare in sonorità conosciute—questo è il loro suono, adesso. La sfida è stata trasportare le vecchie canzoni in questo nuovo territorio sconosciuto. Il risultato, per come lo descrive Cave, è mozzafiato: atmosfere sonore avvolgenti che si allargano a riempire le sale “come in una cattedrale”, crescendo lentamente nel corso del concerto “diventando una cosa piuttosto sbalorditiva”, dice Cave.
“C’è stato una specie di—non voglio esagerare—ma c’è stata una specie di deriva graduale dai concerti puramente oppositivi verso una cosa più simile a un ritrovo di persone, una cosa comunitaria. Il nuovo tipo di concerto—e questo succedeva già con Push the Sky Away—è semplicemente così spettacolare. È davvero straordinario.”
Prima di Skeleton Tree, Cave e i Bad Seeds si stavano preparando a far uscire la raccolta (appena pubblicata) Lovely Creatures, una panoramica della loro intera carriera: un box set tentacolare grande tre decenni che traccia i Bad Seeds dalla ferocia edonistica dei loro inizi post-punk fino all’elevazione di canzoni come “Jubilee Street” da Push The Sky Away. Con una selezione effettuata da Cave e dal co-fondatore Mick Harvey, l’edizione più lussuosa comprende un libro di 256 pagine con copertina rigida che contiene saggi celebratori di ogni aspetto di cave, dal suo humour australiano all’abilità della band nel reinventarsi. È zeppo di meravigliose foto d’archivio e inserti come negativi e disegni di nudo fatti dallo stesso Cave. Ma con la morte di Arthur, Skeleton Tree è diventato la preoccupazione più urgente della band, e Lovely Creatures “ha perso, per un periodo, il suo posto nella storia”, dice Cave nella postfazione del libro. “Ora, sembra che sia il momento giusto per riconoscere e celebrare i Bad Seeds e i loro tanti successi.”
Cave non fa il sentimentale o il pretenzioso rispetto alle sue opere passate, e la band come unità non smette mai di rimescolare i propri vecchi classici per dare loro nuova forma a seconda del suo sound del momento. È quasi riluttante a parlare di maggior parte della produzione dei Bad Seeds prima di Push the Sky Away e Skeleton Tree, visto che non torna mai alla fonte originale per capire come una canzone suonasse 20 anni fa, limitandosi a darle una nuova forma che aderisca alle strutture e ai suoni della band nel presente.
“Sono sempre stato un po’ schizzinoso riguardo al mio catalogo, a essere sincero. È un artista terrificante quello che è semplicemente orgoglioso di ogni sua opera.”
“Il catalogo è sempre stato un po’ un mistero, e sono sempre stato un po’ schizzinoso al riguardo a essere sincero, come penso siano la maggior parte degli artisti,” dice Cave. “È un artista terrificante quello che è semplicemente orgoglioso di ogni sua opera.”
Non c’è disdegno per questo tipo di artista nella sua voce. Cave non ascolta mai i suoi stessi dischi e a un certo punto fa riferimento al suo catalogo come “quel mostro che vive là dietro” a cui non presta mai alcuna attenzione. Ho la sensazione che non si senta particolarmente interessato a parlarne, ma quando lo fa, i suoi pensieri sono per lo più contaminati dalla curiosità. È rimasto colpito dall’audacia dei suoi lavori precedenti, dalla sensibilità che alcuni esprimevano. Ma finisce lì.
Cave e i Bad Seeds non si sono mai seduti sugli allori. La loro longevità è in parte dovuta alla loro incapacità di stare fermi, ma anche a un’abilità comune nel “servire la canzone” invece di pensare ai riflettori e a mettersi in luce come individui. Guardare la band nel film—specialmente le interazioni tra Cave e il violinista Warren Ellis, la cui collaborazione è diventata fondamentale nel sound dell’ultimo periodo dei Bad Seeds—rivela un processo di creazione complesso ma organico, un gruppo di persone in una potente armonia. C’è voluto molto tempo e molta fiducia per arrivare a questo punto.
Cave ricorda le registrazioni di The Boatman’s Call, in cui i Bad Seeds si sono ritrovati nella solita formazione, ma poi sono finiti per lo più a guardare lui, seduto al piano, contenti di mantenere l’arrangiamento rarefatto, senza chiedere a nessuno uno sforzo particolare.
“Quella è stata la prima volta, penso, in cui tutti si sono chiesti: ‘beh, che cazzo? Cosa sono venuto a fare?’ e robe del genere. Ma tutti hanno capito subito che il disco era bello, e che quello che stava succedendo andava bene, e che non c’era problema a fare un passo indietro su un disco. Ed è quel tipo di comprensione che ci ha fatti andare avanti così a lungo.”
La capacità della band di mutare a seconda dell’esigenza non ha solo mantenuto la sua energia, ma anche quella del pubblico. Tenendo tutti sulle spine, i Bad Seeds hanno continuato ad ammaliare il proprio pubblico per gli ultimi trenta e passa anni, a parte quelli che hanno pensato, come dice Cave, “questa cosa è andata troppo in là, è terribile cazzo”. Ma osservare un cantautore come Bob Dylan, con il suo “incredibile coraggio” e “perversione rispetto alla direzione da prendere” ha spinto Cave e la band a cambiare radicalmente la formula il più sovente possibile.
“Ho pensato: se devo scrivere canzoni, voglio farlo il più a lungo possibile”, dice Cave. “Ed è stato molto chiaro, dandomi un’occhiata attorno, che la maggior parte dei gruppi pubblicano due, al massimo tre bei dischi, e poi muoiono. È anche chiaro che il motivo per cui muoiono è che cercano di ripetere i loro successi passati. È un gioco al ribasso, e alla fine non riuscirai mai a fare un disco abbastanza buono. Quindi se tu continui a cambiare il disco, la gente deve ri-interpretare e rivalutare il tipo di disco perché si tratta di un cambio improvviso. Diventa molto difficile paragonare i dischi tra di loro—è semplicemente un tipo di disco diverso. E questo muoversi costantemente tra diverse forme di musica porta un’energia nuova alla stessa band. Ecco cos’è successo, oltre all’ovvio divertimento che proviamo nello stupire il nostro pubblico. C’è qualcosa di esaltante nel far uscire un disco e il tuo pubblico, il tuo fedele pubblico, deve effettivamente decidere se apprezza ancora la tua band oppure no.”
Non c’è tempo per fermarsi. Lungi dall’essere una coda straziante per la storia di Lovely Creatures e dei Bad Seeds, Skeleton Tree, insieme a Push the Sky Away, rappresenta invece una nuova incarnazione della band e un cambio nella scrittura di Cave. Ripensando alla sua gioventù, dice: “Scrivere di certe cose di cui non bisognerebbe scrivere, o che non erano politicamente corrette” era una cosa particolarmente eccitante. Era in grado di non farsi coinvolgere in prima persona nelle sue canzoni ambientandole in periodi diversi o interpretando un personaggio. Le canzoni ora sono diventate molto più contemporanee e si muovono in narrazioni frammentarie e astratte.
“Ho pensato: se devo scrivere canzoni, voglio farlo il più a lungo possibile.”
Fa riferimento a “I Need You”, da Skeleton Tree, come esempio. “Comunica certamente un bellissimo senso di sofferenza che è più significativo che narrativo, o sembra più sincero rispetto al preoccuparsi che il testo abbia effettivamente un senso.”
È un passo, dice Cave, “molto difficile da fare”. Ma arrivare fino a questo punto è un fatto stimolante per lui, una sensazione di “poter finalmente scrivere di me stesso e, ciò facendo, che potessi davvero stabilire una connessione con le persone anche se la vita che conduco non ha nessuna connessione con quella delle persone che ascoltano la mia musica”. Specialmente negli ultimi due dischi, ha scritto “della mia vita per quello che è, vista attraverso un prisma d’immaginazione che fa risuonare tutto in un modo strano e inconsueto.” L’esistenza di Cave—”quella di un cantante rock, di una rock star, quello che è”—è bizzarra e alienante, ma lui crede che ci sia qualcosa di importante che irradia da questo.
“Penso che ci sia una certa stranezza nell’ordinarietà, o nel mondo ordinario”, dice Cave. “Io vivo un’esistenza ordinaria in strane circostanze. Quindi quello che mi piace dello scrivere i testi è il mistero e un senso di stranezza e improbabilità. E penso di essere nella posizione perfetta per scrivere di quel tipo di cose. Posso scrivere canzoni personali dove l’immaginazione non deve arrivare troppo lontano per arrivare in un territorio magico.”
Questa trasformazione è risultata in alcune delle canzoni più belle in una lunga carriera piena di belle canzoni, e l’energia che questi esperimenti creativi hanno generato sta dando una forte spinta ai Bad Seeds. Dice molto della sua natura di artista che Cave sia molto più vivace nel parlare del presente o di progetti futuri. Non vuole parlare del passato. Vuole lanciarsi violentemente e attivamente in quello che sta facendo in questo momento. E questo significa percorrere a tutta velocità il sentiero tracciato da Push the Sky Away e Skeleton Tree. Usa parole pesanti per smentire l’idea che l’uscita di Lovely Creatures possa significare la fine della band.
“Sembra che ultimamente, specialmente negli ultimi due dischi, siamo arrivati a un punto davvero interessante—un nuovo modo di scrivere testi e suonare dal vivo che è molto diverso da quello che facevamo prima”, dice Cave. “Quindi ci sembra di essere all’inizio di qualcosa. Non è poi così terribilmente conclusivo far uscire qualcosa del genere. È molto interessante pubblicare una raccolta del meglio di tre decenni in un momento in cui la band si sente al massimo della forma. Di solito non succede. Una cosa del genere di solito è una specie di misura disperata che si prende alla fine di una carriera per raccattare gli ultimi soldi possibili. Ma questa non è la stessa cosa. Ci sembra che i Bad Seeds siano ancora una cosa funzionante e, almeno per noi, stimolante.”
Tuttavia, l’atto di pubblicare una retrospettiva così approfondita e attentamente curata come Lovely Creatures è un modo per prendere controllo della storia della band, un tentativo di cucire insieme i Bad Seeds nel modo che loro considerano il più accurato, o potente, o duraturo. È il tipo di progetto che fornirà un punto d’accesso definitivo per chi vorrà esplorare l’opus di Cave, e ora che è finalmente concluso pone la stessa domanda che lui ha posto a Kylie Minogue in un’automobile buia in una notte di pioggia in 20,000 Days on Earth: è preoccupato di venire dimenticato? “Solo da vivo”, risponde Cave, ridendo.
“Quando ascolto vecchie canzoni di persone che non sono più tra noi, hanno un significato speciale per me a causa di ciò. Il fatto che le loro voci e le loro idee siano ancora in un certo senso nell’aria e che le possiamo ascoltare—amo questa idea. Non è tanto per una questione di ego, di essere ricordato, ma solo il fatto che ci siano voci che parlano dall’aldilà, o voi che parlano fuori dalla storia sotto forma di musica. È una cosa davvero potente—che tu possa ascoltare un cantante blues intonare una cosa che esce letteralmente dalla tomba.”
È difficile immaginare che le future generazioni non verranno perseguitate e stregate dai rochi guaiti e terrificanti sussurri di Cave in “Loverman”, dai ghigni cattivi di “Red Right Hand” o dai feroci ululati di “From Her to Eternity”. La sua coinvolgente capacità di costruire mondi ha contribuito a creare il Nick Cave del mito, uno psicopompo sciamanico capace di entraere in posti preternaturali pieni di magia e orrore. Di persona, non si preoccupa molto di smentire questa versione di se stesso, ma questo non sembra frutto di calcolo—il mitico Nick Cave, quello che intrattiene un dialogo con i personaggi che lui inventa, e quello che abita sulla terra sono simbiotici. Lui è tanto alieno quanto la creatura che ha creato. Ma è anche un uomo seduto al tavolo della cucina, che beve tè e si prepara a trasferirsi con tutta la sua famiglia lontano dalla costa Sud dell’Inghilterra.
I confini tra le due terre che questi due uomini abitano non sono chiari. In molte sue canzoni, parla da quell’altro mondo—quello pieno di diavoli e demoni, alberi in fiamme, malvagi bevitori di lacrime, assassini senza pietà, donne mistiche che ispirano “pensieri che non era nel mio miglior interesse menzionare”. È un mondo che Cave esplora costantemente e che ospita un porto sicuro da cui le sue canzoni salpano verso il nostro mondo.
“Non è un posto reale, non è un posto vero”, dice Cave. “Ma in un certo senso è più vero e reale per me della vita al di fuori di esso. E sono molto separati per me. Il processo creativo è una cosa in cui entro in un momento preciso. Mi siedo e dico: ‘ecco cosa farò ora’, e faccio il mio ingresso in quel mondo immaginario dove c’è una struttura logica completamente diversa rispetto a quella dell’altro mondo, e lo percepisco tanto reale e potente quanto il mondo normale. E passo tanto tempo di là quanto di qua.”
È anche un mondo dove, come Cave spiega in 20,000 Days on Earth, “Dio esiste davvero.” Quando gli chiedo se crede in un creatore divino, sorride e sospira, guarda in basso e si ricompone. “Non c’è una risposta semplice”, dice, tornando a guardarmi negli occhi. Resta zitto per un momento, raccogliendo le esatte parole che vuole usare, e poi comincia a separare con minuzia questo mondo dall’altro.
“Nella vita per me non importa la verità”, dice Cave. “Non è la cosa più importante. Il significato è importante.”
Cave spiega che ha dei compartimenti dentro se stesso, e uno di questi include la ricerca della verità, dove Dio non esiste perché la scienza ha provato che la sua esistenza è impossibile. Tuttavia, non ha tempo da perdere con chi ha una credenza dogmatica in Dio, né con chi ride e schernisce chiunque creda in qualcosa. Un altro compartimento, però, include quell’altro mondo, dove “l’idea dell’esistenza di un essere divino è molto utile per la scrittura, perché aggiunge una certa assurdità e una strana profondità a ogni cosa”. A quel punto si ferma e mette in chiaro che credere non ha nulla a che fare con la verità.
“Nella vita per me non importa la verità”, dice Cave. “Non è la cosa più importante. Il significato è importante. E a volte il desiderio di un aldilà, o il desiderio che la vita continui in qualche modo dopo la morte è, per quanto assurdo, qualcosa in cui abbiamo bisogno di credere. E quel bisogno, penso, è una cosa molto potente. Una cosa di cui nessuno dovrebbe vergognarsi.”
Di fronte al mulino che Arthur aveva dipinto, affacciata sull’Ovingdean Gap davanti all’infinito cielo azzurro e il mare oscuro, Brighton è calma e accarezzata da una leggera brezza. Ma anche in una giornata così tersa e pacifica, resta un posto così appesantito dai simboli che Cave non sarà in grado di restare molto a lungo. Così, la sua famiglia sta pensando a un’altra città costiera: Los Angeles. Muovendosi verso il centro della città, le scogliere scompaiono insieme alla casa di Cave all’orizzonte, e la nebbia arriva rapida, soffocando il molo e conferendo alla costa un’immobilità inquietante, anche se gruppi di persone camminano come fantasmi intrappolati a loro insaputa dentro la loro vacanza bucolica. La stranezza di questa scena, sollevata verso il cielo dal crescendo celestiale di “Jubilee Street”, può bastare per far credere in Dio. Anche solo per un minuto.
“Dovrei soltanto dire sì o no”, dice Cave sospirando, pensando ancora alla sua risposta. “Ma è molto difficile. È sempre difficile.”