“Non riesco nemmeno a contare quante volte, negli anni Novanta, mi sono trovato a casa di sconosciuti—per feste piene di ecstasy e cocaina—e c’era quel poster appeso,” ha detto T. Cole Rachel, senior editor dell’agenzia creativa The Creative Independent. “Quel poster” è del film Trainspotting, il capolavoro del 1996 di Danny Boyle su un gruppo di eroinomani scozzesi. L’immagine forte che il film dava dell’uso di droga e dei deragliamenti esistenziali avrebbe definito una generazione intera. E ha generato un numero infinito di parodie, conversazioni metafisiche notturne, e inevitabili denunce da parte della classe politica sul fatto che il film rendesse “glamour” l’eroina (pare che la loro definizione di glamour consista in Ewan McGregor che infila la faccia nel cesso più sporco del mondo alla ricerca delle sue supposte di oppio).
Anche se il film sarebbe poi diventato un successo planetario, il poster del lancio è stato rivoluzionario anche solo di per sé. La sua originalità—che recentemente è stata reinterpretata per il sequel del film, T2: Trainspotting, ha anzi contribuito a rendere il film un cult. Ma, cosa ancora più importante, era un poster diverso da qualunque altro, al tempo.
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“I distributori del film cercavano qualcosa che richiamasse l’industria discografica,” mi ha detto Rob O’Connor, proprietario di Stylorouge, la firma che ha creato la campagna originale del film. “Volevamo fare qualcosa di completamente diverso dagli altri film.”
Mark Blamire, che al tempo lavorava a Stylorouge, aggiunge, “Ci hanno concesso un tempo considerevole per sviluppare le idee e trovare qualcosa di unico. Penso che sia raro che le case cinematografiche si rivolgano a vere agenzie creative, di solito a loro interessa solo vendere il film al pubblico, quindi ricorrono a formati stravisti.”
Stylorouge, che allora era nota soprattutto per le cover dei Blur, con Trainspotting è riuscita ad andare contromano. Hanno usato una palette arancione brillante e font Helvetica per ricordare i cartelli di pericolo dei lavori in corso o sulle boccette di medicinali, poi hanno scattato ritratti in bianco e nero degli attori—un grosso rischio, per un film che non era in bianco e nero. Ma i primi scatti non andavano bene, il cast sembrava un po’ troppo “facilone”, come se fossero attori di una sitcom invece che di un film sull’eroina. Perciò decisero di fotografarli “nel personaggio”.
“Sono stati molto ‘intensi’,” ha detto O’Connor del giorno della sessione fotografica. Allora, gli attori avevano appena finito di girare ed erano esausti. “Avevano davvero fatto quella vita per settimane. Ed era un film abbastanza low-budget. Non li trattavano con i guanti. Erano a pezzi.”
A pezzi, forse, ma ancora brillanti—anche McGregor, che per lo scatto ha dovuto farsi inzuppare d’acqua per ricollegarsi alla scena del cesso. Una volta che O’Connor, Balmire e il fotografo Lorenzo Agius hanno completato l’opera, i poster sono stati distribuiti e hanno cominciato a essere appesi vicino alle università, generando eccitazione tra gli studenti. Considerato il clamore e le aspettative che circondavano il film—basato sul famoso romanzo omonimo di Irvine Welsh, che era già stato messo in scena nei teatri londinesi—non ci è voluto molto perché le altre compagnie cominciassero a parodiare il design di Stylorouge.
“È diventato una barzelletta,” ha detto O’Connor. “Per un po’ di tempo ho fatto la raccolta di tutti i rifacimenti che trovavo, ma alla fine sono diventati davvero troppi.”
Un poster con cui Stylorouge non c’entra, invece, è quello che riporta il famoso monologo “Choose life” di McGregor. Per anni ho pensato che fosse quello “ufficiale” del film, dato che mi ero perso quello con i personaggi. Avevo visto milioni di volte quello con il monologo, appeso nei dormitori e nelle case. Ricordo anche la prima volta che l’avevo visto, al primo anno di università, nel 2004, durante il mercatino annuale di poster del campus. Ma quindi, chi l’ha fatto? È un bootleg? No. Dopo che Stylorouge ha creato l’originale, i producer del film hanno passato la licenza a un’altra agenzia.
“Molti tratti grafici li abbiamo presi dalla campagna [originale],” ha detto Mark Arguile di GB Posters, l’agenzia dietro il poster del monologo. “Abbiamo continuato a rinnovare la licenza per anni. I poster non sono mai usciti di produzione. La grafica l’abbiamo presa quasi paro paro dalla prima. Abbiamo fatto tre versioni del poster con il monologo. Probabilmente è l’unica licenza che abbiamo rinnovato continuativamente per 20 anni.”
Anche se non figurano gli attori, il poster del monologo riporta il testo che sta al cuore del film: quello che ha reso Trainspotting molto più che un film sulla droga. “Choose life” riassume il pensiero degli studenti universitari e l’ansia strisciante che i giovani sentono alle porte dell’età adulta, quando è il momento di trovare il proprio posto nel mondo.
“Ce l’ho ancora,” mi ha detto la giornalista musicale e superfan di Trainspottin Kat Bein. Bein, che ha visto il film per la prima volta a 14 anni, ha il poster da allora. “Il film piace perché è pieno di cose proibite ed è figo e tu hai 14 anni, e non sai niente della vita. Ma poi, quando sono diventata più grande, quel monologo ha cominciato a risuonare davvero dentro di me… Perché arriva per tutti il momento nella vita in cui devi fare delle scelte.”
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