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Breve storia del rap sulla dance in Italia

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Se c’è una cosa che succede costantemente su internet è che gli esseri umani discutono con toni accesi. È quello che è successo quando Salmo ha parlato su Instagram di “una nuova wave”, cioè “il rap sull’elettronica, sulla dance, sui derivati della house anni Novanta.” A scatenare la discussione è stata probabilmente l’espressione “nuova wave”, come se suggerisse che rappare sull’elettronica invece che sui beat trap o hip-hop o drill o grime o qualsiasi cosa fosse una novità.

Il discorso di Salmo, in realtà, citava Phra dei Crookers riconoscendolo come pioniere del genere in Italia. E poi metteva insieme un po’ di cose, citando la sua “HO PAURA DI USCIRE” e il seguito, “Boogieman” di Ghali, “BANDO” di Anna, il Progressive Mix di “Polo Nord” di Massimo Pericolo e “Auto Blu” di Shiva. Tutti brani con beat spinti e ballabili, ma con riferimenti storici diversi all’interno del macro-genere “musica elettronica”.

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“È come se ci fosse una nuova wave. E sto parlando del rap sull’elettronica, sulla dance, sui derivati della house anni Novanta” – Salmo

Il punto interessante del discorso di Salmo, però, non è tanto che si rappi sull’elettronica. È che “la dance e i derivati della musica elettronica, house, in Italia hanno una storia. I produttori degli anni Novanta hanno una storia. Rappare su questa roba qua potrebbe essere molto italiano.” Invece di rifare la trap, o la drill, o il grime, potremmo metterci a scrivere barre sui pezzi di Gigi D’Agostino, Prezioso & Marvin, Molella, gli Exch Pop True, Billy More e Paps’n’Skar.

Al netto che magari la dance anni Novanta può non piacere al purista hip-hop, lavorare sulle tradizioni musicali nazionali per distinguersi a livello internazionale funziona. Per dirne uno, il grime britannico si basa su una declinazioni tipicamente locali dell’elettronica come la UK bass e la dubstep. Rosalía, che viene dalla Catalogna, si è costruita una carriera internazionale sporcando il flamenco di suonini trap, R&B e reggaeton.

In Italia abbiamo sempre fatto le cose che faceva qualcun altro all’estero, ma in italiano. Perché non ci basiamo sulla nostra tradizione italodance per fare una cosa “nostra”?

Quindi, azzardo che l’idea di Salmo sia: in Italia abbiamo sempre fatto le cose che faceva qualcun altro all’estero, ma in italiano. Perché non ci basiamo sulla nostra tradizione italodance per fare una cosa “nostra”? Sarebbe affascinante, perché l’italodance stessa si basava sulla tradizione musicale italiana per scrivere hit. “Voglio vederti danzare” di Prezioso era in origine di Franco Battiato. “Giulia” di DJ Lhasa era di Gianni Togni. “Geordie” di Gabry Ponte era di Fabrizio De André. Ecco, secondo la stessa logica “Auto Blu” di Shiva è “Blue” degli Eiffel 65.

Citando Phra e i Crookers, però, Salmo apre in realtà un discorso molto più ampio che prende dentro l’elettronica in diverse forme. A volte è difficile definire dove inizia “il rap sulla dance” e dove c’è soltanto una persona che rappa su un beat ritmato, ma quello che segue è comunque un tentativo di fare una breve storia di questa cosa qua di cui stiamo parlando. Non è e non vuole essere esaustiva, ma solo un’immaginaria linea per capire come siamo arrivati a parlare, oggi, di questo tema.

crookers mixtape
La copertina del Crookers Mixtape, cliccaci sopra per ascoltarlo su YouTube

Partiamo proprio da Phra dei Crookers, che nel 2007 insieme al suo allora compagno Bot fa uscire un mixtape che è una pietra miliare dell’incontro tra cassa dritta e barre in Italia. Il Crookers Mixtape è il risultato del collegamento che Phra sentiva tra l’hip-hop e i suoi ascolti dell’epoca—”l’elettronica stramba e la house più nera che c’era”, mi aveva detto. Negli anni Novanta c’era l’hip-house, lui voleva farne una versione contemporanea.

E ancora: “In quegli anni là il pensiero era ‘Guarda questi, fanno fare il rap sopra a una base che sembra una canzone da discoteca, degli zarri, ma sei fuori?’” Ad ogni modo, Phra si era fatto le jam, era nella scena rap lacustre e milanese, poi aveva preso un paio di casse decenti e gli era partita la brocca per l’elettronica.

“In quegli anni là il pensiero era ‘Guarda questi, fanno fare il rap sopra a una base che sembra una canzone da discoteca, degli zarri, ma sei fuori?’” – Phra

Il motto di quelle canzoni era nel primo pezzo: “Facciamo rap con i suoni da deep house“. Il tape aveva essenzialmente tre obiettivi, se riascoltato ora: 1) divertire 2) farti ballare e 3) gasarti tantissimo. La tracklist è quasi un best of della scena lombarda dell’epoca—con l’aggiunta di Ghemon, all’epoca Ghemon Scienz, che cantava la lenta e geniale “Bermi un gin tonic col naso“.

C’era Supa buttava giù rime su un basso distorto perfetto per far tremare i muri. C’era Bassi Maestro con il suo alter ego Mr. Cocky a rappare su un beat acido come il limone. C’erano Jack The Smoker e Asher Kuno. E in “Nchlinez” c’era Dargen D’Amico, una delle persone fondamentali per raccontare il rap sulla dance in Italia.

dargen musica senza musicisti
La copertina di Musica Senza Musicisti di Dargen D’Amico, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

Dargen D’Amico va però citato proprio insieme a Phra e ad altri due ragazzi, il rapper Danti e il produttore Roofio, in arte Two Fingerz. Sono tre entità che lavorano insieme, tra il 2006 e il 2007, e si divertono un sacco a mischiare le carte dei beat con bassoni potenti, svisate sperimentali e ritmi che vanno dove gli pare. E Musica senza musicisti, l’esordio di Dargen, è un bel luogo da dove cominciare a esplorare la loro relazione artistica.

Phra produce “Zafferano Vulcano Siciliano“, una lista di nomi di paesi siciliani su un beat lento, pieno e pulsante come i bassi dell’electro house che i Crookers stanno spingendo in quel periodo. Roofio invece produce “Non la 1 ma la 2“, che aumenta i BPM rispetto alla media del’epoca e inizia a suggerire la possibilità di un incontro tra le liriche e le serate. Anzi, a volte le liriche neanche servono: nella tracklist ci sono diversi brani strumentali prodotti da Dargen che sono pura elettronica, e pure piuttosto stramba (“Bobby’s Back To Houston”, “Salendo Sempre Più”).

Nel 2007, poi escono il Crookers Mixtape e l’esordio dei Two Fingerz, Figli del Caos. Sono questi tre ideali punti di partenza della nostra storia, anche se è difficile usare la parola “dance” a questo punto. Quello che i Crookers stanno facendo fa infatti parte di quel movimento che poi verrà chiamato blog house e fidget house, una comunità di producer che puntava tutto su Ableton, bassi distorti, drop brutali e sudori vari. Tra loro c’erano diversi italiani: i Crookers appunto, ma anche i Bloody Beetroots (la sapete “Warp 1.9” con Steve Aoki, no?), ma anche Congorock.

Tra il 2008 e il 2009 esplode tutto. I Crookers sbancano all’estero remixando “Day N Nite” di Kid Cudi, e così creano una delle più grandi hit all’incrocio tra club e hip-hop dell’ultimo ventennio. Dargen si incontra di nuovo con Phra e i Two Fingerz sul suo Di vizi di forma virtù: tra i pezzi che scrivono insieme ce n’è uno in cui la componente dance è preponderante rispetto a quella rap. Si chiama “La banana frullata“, è stupidissima ed è una hit tutta cassa dritta, vocoder e banane che piacciono intere.

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La copertina di Dancegum degli Useless Wooden Toys, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

Nel 2008 esce anche Dancegum degli Useless Wooden Toys, una coppia di producer presi bene con il funk sull’asse Milano-Cremona che produce delle gemme oggi dimenticate. Una è “Teen Drive In” con Bassi Maestro, che diventa ancora più ballabile nel suo remix a cura di Spiller e ci regala uno dei drop più gloriosi dell’era: “Siete pronti per lo show? Here we go!”, grida il sample, lasciando spazio al glorioso “Be-bop-a-lula” di Bassi.

E poi gli Useless scelgono un genio cervellotico come Napo degli Uochi Toki per “Carenza di basso“, un brano rappato dalla prospettiva del purista del rap inasprito contro questi zarri qua che vogliono mettere il rap nelle discoteche. “Questa gente è qui per la gente / Ascolta musica superficialmente / La mia presenza è irrilevante”, canta Napo. “Se voglio ballare mi scrivo ad un corso di danza / Vorrei limonare all’aperto, non dentro a una stanza”.

Nel 2010 succedono diverse cose. Gli Useless scrivono la loro ultima vera hit, “Bomba!” insieme a Mistaman: scompariranno un paio d’anni più tardi, dopo aver pubblicato il loro secondo album. Zitto zitto, Madman campiona una hit anni Novanta—ma non italiana—in “Rainy Trip” con Venom e Ombra. I Two Fingerz escono con la coppia Il Disco Nuovo/Il Disco Volante, sempre pieno di gemme di Dargen. E poi escono le hit che finiscono in classifica.

Festa Festa” dei Crookers, rappata da Dargen D’Amico e Fabri Fibra, esce a gennaio 2010. Riempie i club italiani e arriva al trentacinquesimo posto in classifica FIMI—che oggi sembra robetta, ma all’epoca non lo era affatto. È il preludio a “Tranne Te” di Fibra, prodotta dai Medeline e Michele Canova Iorfida, un pezzo con dei bassoni house, dei cori da gridare tutti assieme nel club, e un ritornello memorabile. Il risultato? Disco di platino.

L’opinione generale è che “Pompo nelle casse” faccia schifo, e tutti ci scherzano, ma intanto diventa un tormentone e fa disco d’oro.

Sempre nel 2010 esce “Pompo nelle casse” dei Power Francers: pezzo la cui portata, se analizzata oggi, è enorme. L’opinione generale è che faccia schifo e tutti ci scherzano, ma intanto diventa un tormentone e fa disco d’oro. Resta una one hit wonder, ma fa comunque dieci milioni di views in due anni—risultato enorme per l’epoca di cui stiamo parlando.

Nel 2011 è di nuovo il momento di Phra, che produce per intero un EP per DumbBlonde e Dargen D’Amico, che è la versione fatta meglio dei Power Francers e ha pure dentro un po’ della primissima MYSS KETA. Si chiama Fino a sera e contiene la storica “La cassa spinge come spinge tuo marito“, un pezzo tellurico di area bmore su cui Dargen dice, liscio come il velluto, parole tipo “Se corteggi mia sorel’ / Ti buco le scerevel’ / Ti buco la matonel’ / Ti affondo la caravel’”.

salmo death usb
La copertina di Death USB di Salmo, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

Nel frattempo però l’onda d’urto della blog house si sta esaurendo: sono arrivate l’EDM degli Swedish House Mafia e di Avicii, la brostep di Skrillex e dei Knife Party. Ma c’è anche chi guarda all’elettronica più underground, quella che in Italia era appannaggio di centri sociali e locali più underground: parlo di Salmo, che a partire dalle sua radici HC si cimenta—per citare solo i due brani più celebri del periodo—con la drum ‘n’ bass in “L’erba di Grace” e con la dubstep dei Belzebass in “Death USB”, uscite rispettivamente nel 2011 e nel 2012.

Sono anche gli anni in cui il rap divertente e un po’ tamarro comincia a prendere le sembianze di un rapper di cui a Milano e dintorni si parla da anni. Si chiama Fedez e fa pezzi pieni tutti ironici, offensivi ma non troppo, coi bassoni che quasi quasi potrebbero stare nei club. Solo in alcuni pezzi si può parlare di rap sulla dance: “Tutto il contrario“, “Ti porto con me“. In poco tempo entra nel giro dei grandi: lavorano con lui Roofio dei Two Fingerz, Shablo, Fritz Da Cat.

Nel frattempo Gué Pequeno, che ha portato un po’ di trap in Italia con “Il ragazzo d’oro”, si diverte sul finale del suo Fastlife Mixtape Vol. 3. A chiuderlo in ignoranza c’è la mitica “Come piace a me“. Campione di Jason DeRulo e testo che la tocca pianissimo: “Come piace a me la figa non gli piace a nessuno / Spacco questa bitch su ‘sto beat di DeRulo”. Fibra rinnova la sua partnership con i Crookers ed esce con “L’Italiano Balla.” I Two Fingerz continuano a scrivere hit con Mouse Music, ma le rendono sempre più pop—come testimoniano i feturing di giganti come Max Pezzali e J-Ax in “Non capisco cosa vuoi“.

Sono anni, quindi, in cui il rap e la dance si uniscono creando banger cazzoni, cose da gridare tutti assieme, video divertenti da far girare tra gli amici. Prima come gag e poi no, seguendo questo spirito, un gruppo di ragazzi di Milano inizia a fare ironia sulla vita notturna della loro città: decidono di chiamarsi Il Pagante. La loro prima canzone si chiama “Entro in pass” e dà il via a una serie di brani che diventano piccoli inni per una parte della gioventù lombarda—”Si sboccia”, “Balza”, “Sbatti”—e trasformeranno poi il progetto in una carriera vera e propria.

Sono anni in cui il rap e la dance si uniscono creando banger cazzoni, cose da gridare tutti assieme, video divertenti da far girare tra gli amici.

Nel 2013 Marracash e Tayone escono con una mina intitolata “La tipa del tipo“, in cui Marra mette in chiaro il tono del pezzo con barre come “Entro in discoteca tutto nuovo di pacca / Tu c’hai la catena, zio, dell’uovo di pasqua.” Esce “Rap un po’ dance” dei Two Fingerz e Simon De Jano, un pezzo che contiene esattamente quello che dice il suo titolo. È anche l’anno in cui escono dal sottosuolo i Bushwaka, cioè Samuel Heron e Mike Highsnob, il cui rap deve molto al mix di punchline divertenti, ritmi pazzi e bassi pesanti lanciato dai Two Fingerz e incarnato poi da Fedez—che insieme a Mistico collabora con Dargen D’Amico su “Bocciofili“, apice della stupidera zarra di quest’ultimo.

Nel frattempo, un altro ragazzo che ha compiuto la metamorfosi da beatmaker a DJ e producer internazionale arriva a unire su disco le due dimensioni della sua musica. Si chiama MACE e ha fondato Reset!, una serata e collettivo che diventa famoso in tutto il mondo. E intanto però tocca anche il rap: produce un pezzo per Fedez ed esce con Future Madness, progetto in cui le barre di Noyz Narcos, Ghemon, Clementino, Ensi, Gué Pequeno ed Emis Killa si accompagnano a manate electro. I Two Fingerz, intanto, si rendono conto che l’italodance la puoi anche toccare con mano e si trovano a chiudere il cerchio collaborando direttamente con Gabry Ponte in “La fine del mondo“.

reset future madness

Siamo arrivati al 2015, e quindi a quel periodo in cui la trap comincia a prendersi il mondo intero, Italia compresa. I ritmi si rallentano, il suono si appesantisce e si ovatta, l’estetica si fa viola. I ritmi più ballabili si fanno quindi un attimo da parte nel gusto del grande pubblico rap: con la sbocciatura del rap di Sfera Ebbasta, Izi, Tedua, Dark Polo Gang, Rkomi, Enzo Dong e compagni le orecchie si voltano verso altri suoni, ma il rapporto tra dance e rap non si recide del tutto.

Nel 2016 Gabry Ponte collabora ancora con Danti per “Che ne sanno i 2000“, un brano che punta chiaramente sul fattore nostalgia per gli anni Novanta, diretto a chi gli anni Novanta li ha vissuti in prima persona. Lo stesso immaginario sonoro viene usato nel 2017 da Junior Cally in “Magicabula“, e l’anno successivo Gabry lo prende sotto la sua ala per “Quando arrivo io“. Nell’underground cominciano a fasi strada i Fuera, mentre il 2018 ci regala “HO PAURA DI USCIRE” di Salmo, prodotta da lui stesso, e “Hasta La Vista” di Ghali.

È tra i 2019 e il 2020 che il rapporto tra rap e tradizione elettronica in Italia si rinnova, ancora una volta tramite una delle figure da cui tutto è cominciato: Phra dei Crookers.

È tra i 2019 e il 2020 che il rapporto tra rap e tradizione elettronica in Italia si rinnova, ancora una volta tramite una delle figure da cui tutto è cominciato: Phra dei Crookers. Prima remixa “Sparalo!” di Speranza, e poi se lo trova in studio insieme a Barracano e un giovane esordiente suo amico chiamato Massimo Pericolo. Insieme a Nic Sarno—che negli anni è rimasto nell’ombra producendo manate distorte di culto come “Maradona” di Caneda—produce “7 Miliardi” e si riprende il ruolo centrale nel rap italiano che gli era sfuggito dalle mani e aveva ricominciato a costruire l’anno precedente con il secondo capitolo dello storico Crookers Mixtape.

La dance anni Novanta comincia a ricomparire in Phra e Sarno con “Polo Nord (C + N Progressive Mix)“, con tanto di riferimento a un maestro come Gigi D’Agostino. Night Skinny mette un sample di classe nella sua “Saluti“, secondo pezzo di Mattoni, su cui rappano Rkomi, Gué Pequeno e Fabri Fibra: l’originale è “Sing La La La“, uno dei classici dell’italodance degli anni zero. Achille Lauro campiona “Be My Lover” nella sua “1990“, un altro pezzo esplicitamente nostalgico negli intenti e nell’estetica.

shiva auto blu
La copertina di Auto Blu di Shiva, cliccaci sopra per ascoltarla su Spotify

Intanto altri rapper fanno uscire pezzi su forme varie di elettronica e dance: Greg Willen ci regala qualche secondo di gloriosa cassa dritta in “UP” della FSK, portando a un pubblico enorme la sua passione per la hardstyle e i drittoni potenti. Passa un po’ sotto traccia la divertente “Acquagym” degli Ackeejuice Rockers con Rkomi. “BANDO” di Anna dimostra che un beat bello tirato preso a caso su internet può far arrivare un pezzo ovunque nel mondo indipendentemente dal contenuto. Phra e Sarno producono “baby” di Madame, il suo primo pezzo ritmato. MACE cura la produzione del disco di Ghali, che alza il ritmo su “Boogieman” ed “Extasy“.

Arriviamo infine al pezzo da cui questa discussione è partita: “Auto Blu” di Shiva prende il pezzo per eccellenza dell’italodance anni Novanta—”Blue (Da Ba Dee)” degli Eiffel 65—e lo rende base di un suo brano. È una versione rap italiana della scelta pop fatta da Nea con “Some Say“, brano che ha recentemente macinato centinaia di milioni di streaming su Spotify.

È bello campionare classici per avvicinarli a chi non li ha vissuti, ma è anche bello creare connessioni tra scene e sottoculture.

E così siamo arrivati a oggi, probabilmente perdendoci qualche pezzo per strada. Ma è naturale, perché è impossibile definire “il rap sulla dance”; sarebbe come dire “il rap sul rock”, e quindi dovresti metterci dentro qualsiasi cosa fatta con una chitarra, un basso e una batteria. Se limitiamo il discorso alla tradizione italiana, però, lo spunto di Salmo si fa interessante: è bello campionare classici per avvicinarli a chi non li ha vissuti, ma è anche bello creare connessioni tra scene e sottoculture.

Questo vale per l’italodance, quindi, ma anche per le altre forme italiane dell’elettronica. Pensiamo alla progressive mediterranea di Ricky Le Roy, Franchino e compagnia. Alla trance destrutturata di Lorenzo Senni. Ai sintetizzatori modulari di Caterina Barbieri. Alle esplorazioni internazionali di Populous, Clap! Clap!, dj Khalab. Alla techno di Donato Dozzy. E così via, in quell’eterno gioco di rimandi che è il carburante dell’arte.

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