Mi serve almeno un’ora per postare una story su Instagram quando esco; un’ora di profonda riflessione, redazione di un canovaccio mentale e approfondita correzione bozze. Ci sta una foto della tavola imbandita? Selfie allo specchio: è ancora figo o mi fa sembrare vecchia? Su quale canzone di Taylor Swift posso fare un gioco di parole oggi? Mentre tento di rispondere a queste e altre domande, resto ferma e in silenzio, con l’aria accigliata. I miei amici la chiamano “faccia da content.”
Se ti sembra un lavoraccio, hai ragione. E la parte più triste è che mi viene spontaneo, a questo punto. Il mio cervello millennial è costruito per fare la curatela della mia vita come se fosse una delle riviste che leggevo quando ero adolescente, con tutte le cose che amo e a cui tengo: cultura pop, musica, cibo. Molto cibo. Su Instagram un tocco di pretenziosità è accettato, anzi, è d’obbligo. Mi sono adattata a questo modo di esprimermi, felice di avere pieno controllo su una piccola parte della vita. Ma spesso sento la mancanza dei primi tempi dei social media, quando mi loggavo su Friendster per un’ora al giorno (quanto mi permetteva il mio abbonamento a internet prepagato) per postare brutte foto prima di tornare alla realtà. A quei tempi usavo internet per condividere la mia vita, non per viverla.
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Per questo ho provato BeReal.
Come funziona BeReal
C’è chi dice che è noioso… e in un certo senso lo è. Da quando ho scaricato l’app la settimana scorsa, non mi sono mai sorpresa a pianificare cosa avrei postato
BeReal, l’app social francese creata dall’ex dipendente GoPro Alexis Barreyat, è stata lanciata nel 2020, ma l’esplosione nel mio circuito di amici sembra avvenuta soltanto nella seconda metà del 2022. A luglio, riportava di essere stata installata almeno 20 milioni di volte, piazzandosi tra le app gratuite per iPhone più scaricate negli USA specialmente dal pubblico della Gen Z. È l’anti-Instagram: tutti gli utenti (o almeno quelli nella stessa zona oraria) ricevono contemporaneamente una notifica che chiede di postare una foto in un momento casuale della giornata, una sola volta al giorno. Da quando aprono la notifica hanno a disposizione due minuti per scattare, quindi non possono rifletterci troppo. Scatta allo stesso momento dalla camera anteriore e posteriore, senza filtri, creando così selfie goffi e panorami storti che scompaiono il giorno dopo. L’app promette che “non ti farà perdere tempo” e “non ti renderà famoso.”
C’è chi dice che è noioso… e in un certo senso lo è. Da quando ho scaricato l’app la settimana scorsa, non mi sono mai sorpresa a pianificare cosa avrei postato. Anzi, mi dimentico proprio di avercela finché non compare la notifica che mi ricorda che è “ora di BeReal.”
Nessuno può vedere le mie foto passate perché non esiste un vero profilo, ma una pagina “I tuoi ricordi” che è visibile soltanto a me contiene una foto della mia stanza con un selfie che mostra un quarto della mia faccia. Un’altra vecchia foto ritrae lo schermo del mio computer a metà lettura di un articolo su un panino e un selfie di me con indosso la maglietta in cui avevo passato la notte.
Sono tutte foto fatte e postate in quella finestra da 2 minuti, senza pensare a una frase ironica o simpatica che le accompagnasse. Non voglio mentire: è stata una sfida. Ho controllato varie volte di non postare qualcosa di privato o confidenziale (la protezione dei dati e la privacy si stanno già rivelando campanelli d’allarme per questa app). Ho dovuto fare uno sforzo per non entrare in modalità correzione bozze. È come un finsta (che ha ormai sviluppato una sua estetica performativa) o quegli adesivi che su Instagram ti costringono a postare “una foto di quello che hai davanti adesso (senza imbrogliare),” però imbrogliare è molto più difficile.
Mentre sto scrivendo questo articolo, verso le 5 del pomeriggio, è spuntata la notifica che mi chiede di caricare la foto del giorno. Ho donato ai miei amici un altro scatto della mia tastiera. Le foto che ho visto fatte dagli altri sono altrettanto banali—il pavimento di una palestra, l’angolo caffè di un ufficio, un letto. È una finestra su come le persone passano davvero il proprio tempo e un rapido contatto con l’esterno per chi ne sente il bisogno.
Mi sono serviti 30 secondi per vedere tutti i post dei miei amici ieri. E non importa quante volte scorra il dito sullo schermo, cercando involontariamente un ultimo stimolo, nient’altro appare. La pagina sembra abbandonata. È come la tecnica del pomodoro applicata a un social: mi costringe a smettere di scorrere la pagina e tornare all’articolo che sto scrivendo, al programma che sto guardando, alla conversazione che sta avvenendo proprio di fronte ai miei occhi. Odio ammetterlo, ma è questa la parte migliore. Il feed limitato di BeReal è un detox per il mio cervello corrotto dal flusso infinito di contenuti.
Con questa app, mi riabituo a controllare cosa fanno i miei amici soltanto una volta al giorno, proprio come prima. So che non serve aprirla ogni 15 minuti per vedere se è successo qualcosa di nuovo perché so per certo che così non è.
Rispettando il suo spirito menefreghista, non voglio dare un’idea esagerata dell’effetto che BeReal ha su di me, ma non dover pensare eccessivamente ai post né controllare costantemente nuovi contenuti è un buon allenamento per la salute mentale. A quanto pare, non ho proprio bisogno di curare ogni minimo dettaglio di ogni minima cosa che faccio.
Non credo che riuscirò mai a uscire dalla mentalità di Instagram. Ho tenuto la app, adoro usarla e non ho intenzione di cancellarla. La cinica in me inoltre pensa che un giorno anche BeReal diventerà performativa. Presto formeremo dei segnali visivi e/o audio che stabiliranno cosa è fico o accettabile condividere, una lingua di BeReal non dissimile dai caotici deliri registrati in auto su TikTok che ormai fa pure Kylie Jenner. A proposito di celebrità, che cosa succederà quando anche loro installeranno l’app? Non posso saperlo. Ma per ora, in questo bagno di nulla, sono felice.