Ecco una domanda su una questione generazionale dura da affrontare: quanti 30enni conoscete che possono permettersi una casa di medie dimensioni tutta per sé, in città, senza usufruire di aiuti economici o immobili già posseduti dalla famiglia? Io riesco a contarli sulle dita di una mano.
Sono le statistiche a dirlo: il reddito in questo paese sale molto lentamente, mentre i prezzi del mercato degli affitti in città vanno a palla di cannone. Quindi o puoi fare affidamento su patrimoni accumulati, o semplicemente i conti non tornano (sto parlando della situazione generale, il cugino manager con l’attico in via della Spiga non fa statistica). I dati sull’erogazione dei mutui lo confermano: dal 2006 la percentuale di mutui concessi dalle banche agli under 35 è passata dal 44, 8 percento al 22,6. E in modo covariante sono calate anche le richieste: dal 49,2 di 14 anni fa, al 27,2.
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Siamo, insomma, la generazione di coinquilini anche dopo i trent’anni. Ho chiesto a cinque over 30 in questa situazione di spiegarmi come la stanno vivendo.
“Formare una piccola comunità è un atto di resistenza”
Giulia, 31 anni e tre coinquilini.
Vivere con dei coinquilini dopo i 30 anni per me è più una scelta politica che economica. Non che i soldi non c’entrino, ovviamente: Milano è una città dove vivere da soli è letteralmente un lusso anche se scegli di farlo in 25 metri quadri. Dico che è politica, però, perché ha molto più a che fare con l’idea di famiglia che con quella di smezzare un affitto: se le metropoli alimentano solitudine e individualismo, formare una piccola comunità è un atto di resistenza. Per questo, la prima e più fondamentale regola è scegliere con estrema cura con chi vivo: non devono essere per forza persone che conosco già (anzi), ma persone di cui mi interessano i pensieri e i racconti, e di cui condivido la filosofia di vita.
Al momento in casa siamo in quattro, ma abbiamo una politica di “porta aperta” e intorno a noi orbitano quotidianamente altri amici. In più non abbiamo regole vere e proprie, ma più un comune accordo sul livello di civiltà (uno dei vantaggi dei 30 anni è che, bene o male, sai stare al mondo meglio di quando ne avevi 20). Il lato negativo principale è che tenere sotto controllo il caos ogni tanto diventa difficile, così come l’isolarsi davvero—entrambe cose che soffro più io degli altri, perché ho una naturale tendenza all’eremitismo. Ovviamente io e il mio compagno parliamo di trovare una casa per noi due, ma la mia motivazione principale sarebbe poter fare quello che mi va nello spazio che abito, anziché dover rendere conto a un padrone di casa che ha malauguratamente deciso di arredare la cucina di rosso fuoco e blu elettrico perché tifoso del Cagliari.
Credo che in definitiva vivere “in tanti” in casa dopo i 30 anni sia un esercizio alla cura dell’altro. Se hai la fortuna (e la lungimiranza) di vivere con persone che ti piacciono, si crea una rete di salvataggio. Se uno di noi arriva tardi da un viaggio, gli altri gli fanno trovare la cena. Se uno ha la febbre, un altro va in farmacia al suo posto. Questo, soprattutto per chi è lontano dalla famiglia di origine, è preziosissimo.
“Se volessi insegnare a vivere agli altri, farei dei figli”
Marco, 38 anni e due coinquilini.
Ho provato a contare i coinquilini con cui ho convissuto fino ad oggi dai tempi dell’università: supero i 30. D’altra parte sono 18 anni che abito in appartamenti in condivisione senza aver mai provato a trovare casa da solo. Non comprendo la foga di voler acquistare casa—diciamolo, molto italiana come cosa—e accollarsi un mutuo ventennale, perché tanto “con l’affitto il mutuo lo paghi lo stesso, e poi almeno hai la casa tua.” Con la stanza in affitto io pago la libertà di scegliere.
A volte penso ad andare a vivere da solo. Ma voglio vivere davvero a Milano, non fuori per risparmiare, e non accetto l’idea che il 90 percento del mio stipendio se ne vada così.
Col passare del tempo ho maturato un approccio abbastanza distaccato a questa realtà. Non tengo particolarmente ai rapporti con gli altri della casa: ben venga che siano piacevoli, ma altrimenti riesco a vivere senza ansie. Tengo invece a far in modo che ci sia rispetto per i compiti comuni di pulizia: invecchiando si restringe lo spazio di pazienza, tutto deve essere il più liscio possibile. Quindi su questo cerco di essere categorico.
I piccoli problemi quotidiani sussistono—c’è chi mette i coltelli ad asciugare con la lama verso l’alto, chi non riesce a rispettare il suo turno per cucinare, chi non sa fare la differenziata, chi è riuscito in qualche modo a macchiare di sugo il muro sotto al tavolo—ma con un po’ di pazienza si discutono e si risolvono. Sono problemi che non vorresti avere in casa tua passati i 30 (se volessi insegnare a vivere agli altri, farei dei figli), ma non sono così insormontabili.
“Sopporti pur di non emigrare nella peggiore gattabuia ai confini dell’impero”
Donatella, 33 anni e tre coinquiline.
Tutti dopo i 30 anni vorremmo avere una bella casetta solo per noi, in una zona dignitosa, con un cane che ci fa le feste quando rientriamo tristi e stanchi. Ma la realtà è ben diversa.
Ho 33 anni e vivo da ‘‘appena’’ 14, tutti di convivenza, nella capitale. Anche io, come la maggior parte della gente che conosco, sono una fuorisede del sud. La fauna dei miei coinquilini è stata estremamente varia: studenti Erasmus che condivano la pasta con ketchup e aglio liofilizzato, salutiste vegane che dimenticavano in giro pezzi di bistecca, cattoliche oltranziste con la Bibbia sul comodino, ricercatrici quarantenni sfruttate, matricole scapestrate, donne in carriera ma senza marito, figlie di papà che fanno finta di studiare nella blasonata università privata, e che non sanno neanche come si fa a pagare una bolletta al tabaccaio.
La mancanza di selezione va di pari passo con quella di privacy—non poter fare quello che ti va quando ti va, a meno di non dover chiedere il permesso a tutti gli altri. È una “guerra” continua che forma la vera essenza di una piccola donna che cresce, convive e sopporta le più svariate vicissitudini pur di non emigrare nella peggiore gattabuia ai confini dell’impero, pagando 1000 euro d’affitto. A Roma, diciamocelo chiaro, se vuoi andare a vivere da sola, nel migliore dei casi accade questo.
“A 25 anni è divertente, a 30 una rottura di coglioni”
Daniele, 30 anni e tre coinquilini.
Diciamocelo: se sei single, tornare a casa la sera e avere altre persone con cui parlare di fronte alla tua scatoletta di lenticchie dell’Esselunga è sempre bello. Tutto questo va ovviamente soppesato con momenti critici—hai 30 anni, una soglia molto inferiore di sopportazione, e vivi con persone che non appartengono alla tua vita e che spesso hanno esigenze diverse dalle tue.
Anche gli spazi che una persona richiede per se stesso sono diversi da quelli di un ventenne, per questo nella scelta della casa (o dei coinquilini) è molto importante trovare persone dello stessa età. Così quando torni da lavoro stressato non trovi il tuo vicino di stanza che ha passato tutto il giorno sul divano con dieci amici (che rimarranno a dormire) a farsi i cilum in salotto. Ma neanche il 50enne che si scandalizza se fai rumore tornando un po’ più tardi il venerdì sera. Da questo punto di vista sono stato fortunato, ma la verità è che comunque devi sempre scendere a patti con imprevisti.
Una sera stavo guardando Borussia Dortmund-Inter, e il mio coinquilino milanista continuava a entrare in camera mia per prendermi per il culo (l’Inter stava perdendo). A un certo punto non ci ho visto più, e gli ho sbattuto la porta dietro, chiudendogli per sbaglio un dito nell’intercapedine. Dopo avermi distrutto mezza stanza per la rabbia è scappato al Pronto Soccorso, e io ho cercato di raggiungerlo—in preda ai sensi di colpa—con un motorino elettrico in sharing. A 25 anni è un aneddoto divertente, a 30 è una rottura di coglioni. Non vedo l’ora di andare a vivere da solo.
“Visto che la nostra condizione generazionale è questa, servono nuove skill di adattamento”
Letizia, 30 anni e due coinquiline.
Nella vita mi occupo di organizzazione di eventi, quindi negli ultimi anni ho dovuto cambiare spesso città: Barcellona, Londra, Palermo, Milano. La città in cui ho vissuto più a lungo è Roma, anche perché ho studiato qui, ma sto per partire nuovamente. Questa condizione, oltre alle ovvie questioni economiche che affliggono la nostra generazione a reddito ridotto, mi costringono a cercare sempre case con coinquilini. Le mie prospettive di poter prendere casa da sola, insomma, sono ridotte anche per il futuro.
Non che personalmente la viva come un problema: per attitudine sono una persona che odia stare da sola, e anche quando capita di tornare a casa e non trovare le miei coinquiline cerco di organizzare un cena con amici.
Sono fortunata anche per il modo in cui vivo quelli che per molti sono i lati “negativi” del coinquilinaggio. Molti amici si lamentano di non avere una vera privacy, o di avere continuamente gente per casa anche quando vorresti invitare il fidanzato e stare da sola con lui. Io mi faccio pochi problemi: se ho voglia di invitare un amico, anche in intimità, lo invito. Ho camera mia, e lì faccio quello che voglio.
Questo perché ho sempre fatto in modo di convivere con persone con cui vado d’accordo, e con cui c’è affinità: visto che la nostra condizione generazionale è questa, servono nuove skill di adattamento. Devi saper fare filtro, e io l’ho fatto in questi 11 anni di coinquilini.
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