Robbie Williams scende dal palco, incontra un gruppo di fan educatamente sedute al di qua delle transenne, probabilmente messe lì dalla security e convinte con le minacce a stare tranquille. Una ragazza si alza e lo abbraccia con circospezione. Lui la bacia e poi le dà una ampissima leccata sulla guancia sinistra. Lei si rimette a sedere con una calma irreale, sembra sedata. Probabilmente lo è.
Questo, secondo la pagina Facebook Rivogliamo Festivalbar è uno dei momenti più alti della televisione, e se anche voi pensate che sia un’esagerazione, specialmente quando stiamo parlando di una televisione che ha trasmesso Sandra Milo che urla “Ciro!” e Andreotti paralizzato, come me avete un problema a capire quale sia stato il vero ruolo di Festivalbar nella cultura italiana. Cerchiamo di capirci qualcosa.
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Nata nel 1964, la manifestazione ideata da Vittorio Salvetti è passata attraverso varie fasi di cui potete leggere ampiamente su Wikipedia e si è conclusa con l’edizione 2007, vinta da Negramaro (premio singolo per “Parlami d’amore”), Biagio Antonacci (premio album per Vicky Love) e Irene Grandi (premio radio per “Bruci la città”). Con questo direi che abbiamo già risposto alla domanda “Sentiamo la mancanza del Festivalbar?” con un bel NO. C’è anche da dire che l’elenco dei presentatori mi ha lasciato più traumatizzato della “Parte dei Delitti” in 2666 di Bolaño, quindi che sia stato anche quello il problema? Non c’è modo di saperlo. I video vengono regolarmente rimossi da Youtube, probabilmente a causa di una pazza idea del fondatore che spera di fare un sacco di soldi in DVD. Mi spiace, non succederà, a meno che questo Paese non cada definitivamente in un baratro culturale.
Ho contattato Rocco, amministratore di Rivogliamo Festivalbar, perché mi spiegasse la sua fissazione con il programma. È una persona molto ragionevole. Visto che io credevo di trovarmi davanti un quadrumane, e che i vari commentatori accusano della chiusura la cecità delle reti televisive, gli chiedo cosa ne pensa del ruolo dei talent show nella fine del Festivalbar. Risposta: “I talent causa delle fine del Festivalbar mi sembra nettamente una fesseria. Anzi il Festivalbar poteva essere un’ottima vetrina per chi esce dai talent. La causa delle fine del Festivalbar sono stati i soldi. […] La mia opinione è che Festivalbar abbia gestito male il suo marketing facendosi forza sul successo del passato. Con l’avvento della musica digitale le vendite di musicassette e cd si era ridotta al lumicino. Gli sponsor non bastavano più a finanziare l’intera manifestazione. Meno soldi, meno grandi artisti, meno telespettatori, meno sponsor.” Bravo Rocco. Mi hai sbugiardato con gran classe, ma attento perché in questo modo togli il piacere del complottismo ai tuoi seguaci.
Vi siete accorti del fatto che non ho ancora parlato di momenti salienti e performance memorabili? È perché non ce ne sono. Quando c’erano le cose interessanti tipo Corona, Sabrina Salerno, i Righeira, era tutto strettamente in playback. Gli artisti hanno cominciato a esibirsi live nel 2002 per cui sì, posso parlarvi di Luca Dirisio e Irene Grandi, ma penso che nemmeno voi vogliate che io prema play su quei video. Torno sui social network, dove posso scoprire le vere passioni degli italiani. Perlomeno è questo che mi hanno detto di scrivere se voglio lavorare in televisione.
È proprio sulla pagina ufficiale del Festivalbar (6.317 like) che possiamo trovare alcune esternazioni di sofferenza e cercare di capire quanto questa manifestazione abbia segnato le menti della generazione T (per Tangentopoli) e limitrofe.
È vero, il sito ufficiale del Festivalbar è rimasto vittima di un patetico tentativo di rinnovamento, con l’innesto forzato di una sezione news quali “George Michael è in clinica per disintossicarsi?” e “Le grandi rivelazioni di Justin Bieber: ‘Non metto mai le stesse mutande’”. Roba da far impallidire “I più letti” di Noisey. La sezione “Classic Festivalbar”, che sarebbe quella interessante, in cui ci si aspetterebbe di trovare video e foto d’epoca, è palesemente abbandonata. Link scaduti, pagine scomparse. Per cui il fan, scommetto originario dell’Italia Centrale, giustamente protesta, amaro.
Il vero sostenitore del Festivalbar è sentimentale, non distingue virgola e punto, ma sa anche con chi prendersela quando le cose non vanno. Non si fanno nomi, ma il messaggio è chiaro: l’eminenza grigia dietro la chiusura del programma più amato dagli italiani è Maria De Filippi.
Sotto uno dei rari video Youtube (una strepitosa performance live degli Eiffel 65) si trova questa stoccata a Sanremo che premia gente senza talento. E su questo forse si può anche concordare con l’utente insoddisfatto, visto che Festivalbar, in quanto responsabile della coniazione del neologismo “gettonare” (questa non la sapevi), ha sempre avuto la caratteristica di premiare la canzone che vendeva di più, la più ascoltata. Cosa che non si può certo dire di Sanremo.
Ma sulla pagina ufficiale compare anche un post che non può essere altro che un bacio di Giuda, la prova definitiva dell’appartenenza del Festivalbar al cult dell’Italia peggiore: un post del Movimento Dipreista Italiano intitolato “Quando torna il Festivalbar?” a cui, bisogna riconoscerlo, la redazione web ha avuto il buon gusto di non rispondere.
Torno da Rocco, voglio parlare di sentimenti. Il momento più bello? “Se devo individuarne uno ti dico la vittoria di un Tiziano Ferro agli esordi. Al momento della consegna del premio all’arena di Verona, completamente in lacrime, il giovane Tiziano con la voce rotta dal pianto disse ‘Non ci posso credere! L’anno scorso ero sul divano a guardarlo…’. Ecco, in quel momento c’è stata la sublimazione di un evento come il Festivalbar che ancora prima dei talent dava la possibilità ad un giovane ragazzo di sognare di esibirsi su quel palco. E come lui tanti giovani sognavano un giorno di poter cantare al Festivalbar.” Quello più brutto? “La storica ‘esibizione’ di Elio e le Storie Tese. Il gruppo non accettò di esibirsi in playback, li ricordo ancora immobili sul palco come delle statue di marmo mentre in sottofondo c’era una loro canzone.”
È a questo punto che sono sicuro che non abbraccerò mai il culto del Festivalbar. Sognare di andare in TV con Amadeus e Alessia Marcuzzi? Di esibirsi in playback all’Arena di Verona? Ma fatemi il piacere. Anche se pure fare i ribelli al Festivalbar non è poi ‘sta gran pensata, soprattutto se qualche anno dopo scrivi una canzone apposta per farla cantare a un pinguino che cerca di venderti un cellulare.
Sulla pagina Gli Anni D’oro Del Festivalbar si trova un messaggio privato della redazione web ufficiale che a domanda risponde rassicurando i fan: “il signor Salvetti e il suo staff di sicuro sono sempre attivi e in pista”, ma non c’è alcun piano di resuscitare il programma.
Cari nostalgici di Festivalbar, lasciate che ve lo spieghi io una volta per tutte, usando parole che la redazione web non può usare. Andrea Salvetti è decisamente in pista, ma, per fortuna sua, non è più alle prese con sponsor, case discografiche e avidi produttori televisivi: a giudicare dalle scarse notizie che si trovano online, ha intrapreso l’attività di fotografo e filmmaker, e sta usando i soldi che ha fatto vendendovi quelle orrende compilation per girare il mondo a immortalare paesi lontani e a finanziare progetti di medicina alternativa e cose del genere. Festivalbar non tornerà e, riguardando i video, leggendo le notizie e cercando di ricordare, davvero non riesco a capire perché dovrebbe. Non ce n’è bisogno. È ancora qui.
Guardatevi attorno: è giugno. Sì, a volte piove, però indossate abiti leggeri, il gel per capelli vi cola sulle tempie a metà giornata, sta arrivando il torcicollo da aria condizionata. È estate. Le stagioni sono passate anche senza la benedizione di Fiorello. Entrando in un bar, sentirete comunque musica generalista, le copertine delle riviste riportano comunque le facce dei beniamini della TV. Noi snob della musica alternativa abbiamo perso ancora. Quando la rivoluzione arriverà ve ne accorgerete perché vi ritroverete a fischiettare un motivetto harsh noise giapponese. Non vi preoccupate: è rimasto tutto esattamente uguale.
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