Una mattina del maggio 2019, Bianca Felicori—architetta, autrice e ricercatrice presso la UCLouvain di Bruxelles—apre quasi per caso un gruppo su Facebook. L’idea è quella di scandagliare l’architettura del Novecento e sondarne le stranezze, senza limiti geografici ma seguendo gli sbalzi creativi, le deviazioni più estrose e i progetti dimenticati: è così che viene ideata Forgotten Architecture e che ora nasce l’omonimo libro, prodotto da NERO e Prima O Mai.
Felicori si accorge in fretta che esistono personalità del settore e fenomeni che non vengono trattati o adeguatamente approfonditi in ambito accademico e specialistico. Basti pensare, per esempio, agli “azzardi formali” di Marcello D’Olivo e alle sue architetture “organiche e sinusoidali,” come racconta Felicori. “Dopo avere scoperto la sua opera mi sono domandata quanto ancora non sapevo del Novecento e quanti tasselli mi mancavano per completare la mia formazione.”
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Il modo e il posto migliore per colmare le lacune si è rivelato proprio questo gruppo virtuale, trasformatosi molto velocemente in una community partecipata, eterogenea e appassionata. “Ho capito che la mia voglia di andare oltre i limiti della storia dell’architettura insegnata in accademia era condivisa da molti,” spiega. “Tanto che nel giro di poco tempo il gruppo è diventato un successo. La cosa per me più interessante, però, è che Forgotten Architecture non ha mai coinvolto un pubblico solamente di settore, bensì un pubblico generico.”
In effetti, quando ci si intrufola per la prima volta nel mondo di questo “archivio di progetti compiuti e scomparsi,” sembra di scrollare in un universo condiviso di feed ossessionati dallo spazio urbano e dagli scorci più surreali. Una visione da affiancare e aggiungere al mondo già tratteggiato su internet, dove il paesaggio prende le forme di un’unica, ininterrotta distesa di spazi liminali, non luoghi e strani posti deserti.
Tanto più che l’architettura del Novecento è ricolma di presenze che continuano ad affascinarci, e il rapporto concreto che abbiamo con i luoghi che abitiamo, frequentiamo e utilizziamo influenza inevitabilmente tanto noi quanto i professionisti del settore. “Gli architetti, come me, sentono il bisogno di rivedere il proprio ruolo nella società, oggi più che mai,” spiega Felicori. “Grazie a Forgotten Architecture ho capito che stiamo andando incontro a una radicale revisione della disciplina e che c’è l’esigenza di costruire un dialogo architettonico utilizzando altri mezzi di comunicazione, come per esempio i social.”
Non per la prima volta, quindi, piattaforme come Instagram e Facebook dimostrano di avere il potenziale per aiutare la nascita e la crescita di una fiorente comunità. “Sicuramente il successo di Forgotten Architecture dovrebbe far riflettere coloro che si ostinano a pensare che l’architettura sia una disciplina elitaria,” aggiunge l’autrice. “Ho imparato che la condivisione del proprio sapere può diventare un potente mezzo per generare progetti collettivi.”
Non a caso, i saggi che accompagnano i capitoli del libro sono stati affidati proprio “alle persone più attive sul gruppo, quelle che avevano condiviso maggiormente progetti legati a un determinato macro tema. Alcune non le avevo mai viste prima, le ho conosciute grazie alla pagina.”
Allo stesso modo, “la scelta curatoriale per il corpo centrale del libro usa come traccia contenutistica le categorie architettoniche pubblicate con maggiore frequenza sul gruppo,” precisa Felicori. “L’architettura effimera, le stazioni di servizio, le discoteche e i villaggi vacanza, le case e i playground.”
Tra i rapporti nati grazie al gruppo Felicori cita “Giulia, la proprietaria della casa che Ettore Sottsass ha disegnato per Arnaldo Pomodoro tra il 1966 e il 1968. Quando può, apre la sua casa al pubblico per condividerla con gli utenti di Forgotten. Ma negli anni sono nati rapporti stupendi con architetti e parenti di progettisti scomparsi, fotografi, proprietari di case incredibili e molte altre persone.”
Il nome di Sottsass, ad ogni modo, pare proprio non comparire per caso, visto che c’è “una naturale tendenza a pubblicare progetti degli anni Sessanta e Settanta,” sottolinea l’ideatrice di Forgotten Architecture. “Sono gli anni in cui gli architetti si allontanano da una visione tradizionale della disciplina e nasce quella che poi viene definita architettura radicale, fantastica e visionaria.” Quel tipo di concezione che problematizza l’architettura e cerca di incrociarla con altre discipline, rendendola un terreno di discussione fertile per i temi politici e le questioni esistenziali.
Uno degli esempi più significativi e interessanti riguarda proprio l’immagine di copertina del volume, La Scarzuola di Tomas Buzzi, ovvero la sua interpretazione della Città ideale. “Si tratta di uno degli ultimi lavori realizzati da Buzzi, che sceglie di interpretare tramite la progettazione i suoi sogni, le utopie e le visioni oniriche, dando loro una forma tramite il disegno di questo assurdo spazio nel cuore dell’Umbria.”
Il libro stesso è poi anche il risultato di anni spesi a fare ricerca tra archivi e studi, nonché la consultazione del materiale messo a disposizione da fotografi professionisti. Alcune immagini sono state recuperate direttamente dagli architetti, dai parenti o da chi ora ne gestisce lo studio, mentre altre arrivano da archivi pubblici o da fotografi che hanno nuovamente fotografato gli edifici.
Comunque, “Di materiale ne abbiamo così tanto che potremmo continuare a fare numeri fino a realizzare un cofanetto,” conclude l’autrice. “I temi che possono essere affrontati sono ancora molti: dalle colonie agli hotel, dai bar e ristoranti ai municipi e così via.”
Il libro è prodotto da Prima o Mai (un progetto di Ratigher + NERO Editions), con il supporto di Carhartt WIP. Fino al 7 giugno puoi preordinarlo su Prima O Mai. Scorri per vedere altre foto: