“Inseriamo a mano polvere e foglie d’oro 24 carati. I prezzi possono arrivare anche a 700 euro per quello invecchiato in botti di sequoia.”
Scrollando compulsivamente Instagram, come la pandemia ci ha insegnato a fare, qualcosa di strano ha attirato la mia attenzione. Un gin con dell’oro 24 carati. 25K Gin è un gin italiano in cui fluttuano pezzi d’oro. Appena ho visto la foto ho deciso che in un modo o nell’altro avrei voluto provarlo.
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Ma prima di parlare del perché dei ragazzi italiani abbiano deciso di fare un gin all’oro e del perché io abbia avuto una matta voglia di provarlo, un piccolo excursus su cosa sia il gin oggi. Da qualche anno è tornata una vera e propria gin craze, come all’epoca della Londra del ‘700 (ok, un po’ meno). Da oltre una decina d’anni il gin è il re incontrastato di tutti i superalcolici in termini di produzione. Lo spartiacque è forse il 2006, quando si è assistito a una vera e propria rinascita di quello che era lo spirito fino ad allora associato perlopiù ai gin tonic dei pub britannici e dei Martini Cocktail per gente sofisticata. E dal 2008 una nuova legislazione europea ha spalancato le porte della produzione di gin anche qui da noi, dove il ginepro cresce pure in alcuni cortili di casa.
Le etichette di gin italiano superano le diverse migliaia tra micro distillerie (come questa sostenibile che ho visitato), grandi marchi e persone che investono nella propria ricetta realizzata per conto terzi. Capite bene che, per non fare l’investimento più stupido della vostra vita in un mercato ultra-saturo, c’è bisogno di creare qualcosa di diverso.
“Il progetto parte dal mio hobby di creare spirits,” mi racconta Riccardo Lorenzon Vos che, insieme a Cristina Bretoni e Simone Arici è uno dei fondatori di 25K Gin. “In realtà abbiamo una casa di produzione video, ma nel 2016 ho iniziato a sperimentare: mettevo insieme vodka e gin per esempio, mi divertivo a giocare. E giocando sempre di più alla fine ho creato una ricetta di un gin che mi piaceva, anche se gli mancava qualcosa.” Riccardo e i suoi attuali soci vanno in Calabria, una nonna gli offre della liquirizia e capiscono che quel sapore dovrebbe proprio stare in quella bottiglia.
“Non volevamo fare il solito gin in stile London Dry, ma abbiamo sempre tenuto come punto fisso il fattore Italia e Mediterraneo.” Lo stile del Gin Mare, per darvi un’idea di cosa sia un Mediterranean Gin. “Da una base di sapori mediterranei abbiamo aggiunto l’inusuale liquirizia che ha avuto l’effetto di dargli un gusto diverso e un colore ambrato che difficilmente trovi in un cosiddetto Mediterranaean Gin. Vedendo quel colore ci siamo detti: perché non diversificarci del tutto e metterci delle foglie d’oro dentro? Ovviamente non esiste l’oro a 25 carati: ci siamo immaginati che il 25esimo fosse il gin stesso e così è uscito fuori il nome”
25K si piazza in un mercato di lusso, ma non vorrebbero che fosse quel prodotto tipo Dom Perignon in certi locali da sprecare versandolo addosso agli amici.
A oggi la produzione di 25K Gin è di poche migliaia di bottiglie: ovviamente, non sto nemmeno a dirlo, la fascia di riferimento è quella di un mercato di lusso. È pensato per quelli che al solo pensiero del gin vengono colti da attacchi di nausea ricordando shottini di gin secchissimi. Insomma: ha un gusto morbido, quasi dolce, adatto a tutti i palati. Si beve perlopiù liscio, ma è perfetto anche in formato gin tonic, con una tonica bella astringente per smorzare la dolcezza del gin.
Quando il sample da parte dell’azienda è arrivato a casa, erano circa le 10 di mattina e avevo appena fatto colazione, non ho resistito e l’ho assaggiato. Prima liscio senza nemmeno il ghiaccio e poi mi sono fatto un gin tonic. Beh, è stato un assaggio strano, di un gin che sembra un sacco di cose, ma di certo non gin. La presenza della liquirizia e dell’anice lo fanno assomigliare più al mistrà Varnelli -quello che si mette nel caffè- più che a un gin di qualsiasi tipo. In poche parole questi due ingredienti si mangiano il sapore di ginepro a colazione. Per essere definito un gin può bastare che la base di partenza sia di distillato di ginepro (e in etichetta è infatti riportato proprio così tra gli ingredienti) a cui si può aggiungere quello che ci pare. Quindi può essere un gin anche se il suo sapore ricorda più un liquore all’anice. Per farla breve: per i miei gusti era qualcosa di decisamente dolce che rimane appiccicato al palato per un bel po’. Ma con una tonica bella astringente in effetti ci si fa un gin tonic parecchio strano che però funziona a meraviglia.
Per rafforzare il fattore lusso e artigianale, ogni bottiglia viene etichettata a mano con un’etichetta in metallo e a mano viene anche inserito l’oro. “Ci spediscono polvere d’oro e foglie d’oro eduli,” mi racconta Riccardo. “E ci pensiamo noi a inserirlo. All’inizio per la polvere d’oro usavamo una saliera, mentre le foglie le spezzettiamo a mano e poi con delicatezza le facciamo scivolare nella bottiglia.”
Riccardo e i suoi soci, oltre a produrre gin, hanno una casa di produzione video. Quindi il lato dell’immagine era fondamentale, così come la ricerca per soddisfare qualche piccolo capriccio. Il gin arriva a casa con una scatola di legno che si può anche personalizzare (ormai che ci siete, tanto vale). “I costi vanno dai 18 euro per la bottiglia da 100ml (sono tipo tre shot, ndr) e arrivano a 400 euro per quella da 3 litri. E sono inserire in un box in legno. Poi ci sono i nostri 25K Gin invecchiati in botti di sequoia, che hanno sentori di caramello e note floreali e consigliamo di degustare lisci, che possono arrivare a 700 euro.” Però, come mi confessa, non vorrebbero che fosse un prodotto esclusivo di quei posti dove si sboccia Dom Perignon per rovesciarlo in testa agli amici.
Mi ha sempre creato un brivido lungo la schiena ingerire oro come se niente fosse. Spesso ho pensato che fosse tipo il sostituto del Parmigiano sulla pasta per magnati del gas russi. L’ho assaggiato su tartare di carne, su risotti, su un piatto di asparagi, ma non mi era mai capitato di berlo. Indubbiamente i ragazzi hanno avuto un’idea originale che si può rivolgere a un pubblico di semplici ‘curiosi’, di estimatori e anche di chi vuole semplicemente fare bella figura con un prodotto di lusso.
Era tutto il pezzo che mi trattenevo dal dirlo ma perdonatemi: a quanto pare anche l’ora dell’aperitivo può avere l’oro in bocca.
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