Questo articolo è estratto da “zio”, una newsletter curata da Vincenzo Marino sui consumi culturali e i trend della generazione Z. Il testo è stato riprodotto con il consenso dell’autore, e leggermente editato per ragioni di stile. Potete iscrivervi alla newsletter cliccando qui.
Da qualche tempo su YouTube e social vari si leggono commenti di questo genere: “fatemi uno squillo quando torneranno veramente al 2016”; “2016 is back”; “Ridatemi il 2016.” Si trovano principalmente sotto video trap italiani degli ultimi mesi, e richiamano un’età aurea per la scena a quanto pare riconducibile al 2016.
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La tesi di fondo di tutti questi commenti è che il genere si sia corrotto col passare del tempo e l’avvicendarsi dei protagonisti, smarrendo la spinta e l’autenticità originarie.
La cosa ha portato a una specie di piccolo moto nostalgico nei confronti di quel periodo—che, rammento velocemente, risale a QUATTRO anni fa—da parte di persone forse troppo giovani per potersi permettere di provare nostalgia per qualcosa.
Ma da dove nasce questo fenomeno? E perché adesso? Proviamo a capirlo.
Il 2016 e la trap italiana
Gli anni 2015 e 2016 sono stati quelli in cui sono arrivati i primi artisti e i primi piccoli successi di culto della trap italiana—più o meno in ritardo rispetto alle wave anglofone e francese, ma comunque appena in tempo per crescere e rimettersi al passo. In quegli anni sono usciti XDVR di Sfera Ebbasta, la trilogia “dark” della Dark Polo Gang, nonché i primi successi di Ghali, Tedua, Rkomi, Izi, EnzoDong eccettera.
È stato un periodo incredibile, per la musica in Italia. E uso impropriamente l’aggettivo “incredibili” non perché voglia dare un giudizio, ma perché raramente nell’industria discografica e nel mondo culturale italiano si sono visti spuntare quasi dal nulla decine di interpreti di un solo mega-genere, a ripetizione, con questa magnitudo.
Serve un promemoria? Ecco la serie di Noisey La nuova scuola:
In quei mesi avevi la percezione che qualcosa nel nostro modo di seguire la scena musicale stesse cambiando radicalmente. E la cosa valeva tanto per noi più grandi—che fossimo curiosi, straniti o entusiasti—quanto per i più piccoli, per chi con quella musica ci stava proprio crescendo.
Per la prima volta in anni, il concetto più generico di “cool,” di “musica da giovani” e di ribellione culturale diventava una cosa nuova: stava crescendo un’intera generazione svezzata dagli skrrr e dagli eskere, che poi era la stessa che stava imponendo contemporaneamente nuovi metodi di consumo multimediale (YouTube, Spotify e simili), nuovi codici linguistici e una nuova estetica.
Combo di tutto questo: letale.
Da dove nasce la nostalgia per il 2016?
Ma torniamo per un attimo al 2020. Andiamo in giro con le mascherine in tasca, esiste un video che si chiama “Diretta di Giuseppe Conte parodia trap,” e tutte le classifiche di tutti i canali di vendita e streaming sono letteralmente soggiogate da canzoni del genere.
Il generone trap—che nel 2016 trovava quindi il suo anno zero—è essenzialmente diventato il nuovo pop: i media mainstream hanno cercato di spiegarselo con documentari un po’ facepalm, gli artisti di musica leggera si cimentano con l’autotune per farsi un altro giro, e le radio commerciali trasmettono senza troppi imbarazzi canzoni che parlano di gang e bustine di bamba nelle tasche dei Moncler.
Com’era naturale aspettarsi, questo successo ha alimentato una giostra di emuli e ispirato una generazione di potenziali artisti musicali: e quindi la scena si è un po’ evoluta—adeguandosi ai nuovi microtrend esteri e producendo nuovi protagonisti—e un po’ ha cominciato a ripetersi in modo derivativo, a volte quasi involontariamente comico.
In pratica, la trap italiana non è più la stessa di una volta. E così, di recente capita sempre più spesso di imbattersi in commenti come “2016 anno migliore.” La cosa si è poi estesa a racchiudere un po’ di tutto, alimentando una specie di nostalgia per il 2016 in termini più generali. Il che produce un paio di paradossi abbastanza gustosi: come fanno dei teenager ad avere nostalgia per qualcosa? Si può avere nostalgia di una cosa non troppo lontana nel tempo?
Come si fa a provare nostalgia per cose recenti?
Intanto, un paio di fatti. Il primo e più ovvio: il 300 percento circa delle ultime uscite cinematografiche richiama storie, saghe o personaggi di un passato abbastanza recente—solo negli ultimi mesi abbiamo avuto Re Leone, Aladdin, Men in Black, Charlie’s Angels, Mulan, Dumbo, e me ne sto scordando una sessantina.
Altro dato veloce: su TikTok l’hashtag #2000sthrowback ha un miliardo e mezzo di visualizzazioni. Si tratta di un richiamo generico agli anni Duemila, ma dà già il polso di quanto buona parte di quest’ultima generazione stia cercando una propria particolarissima accezione alla parola “vintage”—che si tratti di abbigliamento, make up, film e serie tv.
L’esempio supremo in questo senso è Billie Eilish, che è un po’ la regina madre della GenZ, e che non fa altro che parlare di The Office—ossia di una serie uscita quando aveva 3/4 anni—e ne è tanto ossessionata da averne campionato un estratto.
Come spiega Tyra Sweeting su The Hilltop, storico magazine degli studenti di Howard, “la nostra generazione [GenZ] è ossessionata da una nostalgia non solo per le proprie esperienze passate e caratterizzanti, ma anche per musica, film e trend nati molto prima che nascessimo e potessimo effettivamente ricordarcene.”
Che poi, capiamoci: i giovani si impadroniscono da sempre, e in modo spesso improprio, di stili e tendenze del passato. La differenza è che a questo giro parliamo della prima generazione nata e cresciuta con Internet—un coso che ci consente di “estetizzare, idealizzare” e feticizzare immagini del passato, scrive Ella Faust su The Common Reader. “Oggi la Rete fa sì che queste nostalgie possano essere percepite su scale ancora più grandi,” permettendoci “di scegliere cosa dei decenni passati ammiriamo, e cosa invece possiamo ignorare.”
Insomma, è più facile provare nostalgia per qualcosa perché è più facile conoscerla e trovare il proprio falso, confortevole ricordo—anche se troppo fresco per essere pienamente tale. Secondo una ricerca su territorio inglese si scopre infatti che il 26 percento dei ragazzi tra i 18 e i 34 anni dichiara di provare nostalgia per un periodo vicino al 2020, percentuale che va poi a dimezzarsi col crescere dell’anagrafica.
La GenZ e la nostalgia
Su AdvertisingWeek360 Helen Rose l’ha definita “neo-nostalgia,” ossia il percepire affetto per un periodo “che è più recente di quanto generalmente indicato come lasso di tempo plausibile per parlare di nostalgia.”
Ma non solo. A quanto pare, sempre secondo la ricerca, la nostalgia potrebbe aver concretamente aiutato le persone a convivere con il lockdown: per il 44 percento degli intervistati avrebbe lenito con effimera felicità la cupezza del presente pandemico, per il 41 percento sarebbe stata un pensiero confortante, per il 31 addirittura una forma di relax.
“La nostalgia può diventare una forma di compensazione del disagio,” dice il professore Tim Wildschut, “per esempio quando le persone provano un senso di inspiegabilità e discontinuità fra passato e presente.”
Un disagio che può provenire da un contesto anomalo (come quello generato dal coronavirus) o dalla convivenza con nuovi metodi di comunicazione (come questo bombolone carico di gioie, nozioni, frustrazioni, pessime notizie e condivisione di passioni comuni che chiamiamo Internet).
Come esempio qui sopra ho scelto la pagina Instagram @glossberry, una delle tante specializzate in post nostalgici su stile e trend del 2015/2016. Per un certo periodo ha spaccato, è finita su BuzzFeed, e la sua admin ne ha fatto praticamente un lavoro. Per lei la cosa ha funzionato perché “il 2015 è riconoscibile da chiunque, non è così lontano da essere dimenticato.”
La morale, ipotizza un articolo su Esquire, è che probabilmente “non è che siamo più nostalgici, ma che siamo più esposti a cose che possono renderci tali.” Io, per esempio, vorrei poter tornare a vivere sotto il tardo Governo Letta.
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