A Roma non si rimane mai turisti troppo a lungo: qualunque cosa pensiate di questa città, sa sempre come affascinarvi. E anche se mi rimane l’accento milanese, diciamo Roma ha saputo romanizzarmi: ci vivo da 11 anni e non ho mai smesso di scoprire i posti veri, quelli rimasti sempre fedeli a se stessi senza piegarsi alle mode gastronomiche.
Quest’estate ho deciso di fare un ulteriore passo alla scoperta di Roma e mi sono fatta aiutare da Sophie Minchilli, che organizza alcuni dei food tour più fighi e autentici di Roma e non solo. Una vocazione di famiglia visto che la mamma, Elizabeth Helman Minchilli è stata tra i prim* a portare i food tour in Italia ed è un’importante autrice.
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Sophie ed Elizabeth Minchilli portano in giro i turisti, per lo più americani, alla scoperta dei cosiddetti posti sinceri, ed è anche grazie al loro lavoro che alcuni di questi locali sono stati riscoperti anche dai romani stessi. Prezzi ovviamente super popolari, ve ne renderete conto da soli.
Il bello è che qui non si trovano solo i piatti tipici, ma ci si può immergere nella vita autentica romana, forse stereotipizzata, ma nonostante tutto reale. Come direbbe Sophie Minchilli, che ci ha scritto un libro, The sweetness of doing nothing, qui ritrovi l’arte del dolce far niente. Non nel senso che le gente non lavori, anzi. Però c’è spesso un’aria di spensieratezza difficile da trovare in altre grandi città.
E così ho chiesto a Sophie di portarmi nei suoi posti preferiti, non solo dove per mangiare e bere, ma anche -e soprattutto- per incontrare quei personaggi romani che ha reso celebri con le sue stories di Instagram. “Sono le persone che ti fanno tornare in quel locale”, mi ha detto.
Ne abbiamo selezioniati otto: sarà una lunga giornata.
Bar Farnese: il bar che non cambia gestione dal 1853
Ci diamo appuntamento alle 10,30 al Bar Farnese, in una piccola via che porta a Campo de’ Fiori, in centro. Sono in anticipo e, mentre aspetto Sophie, osservo il bar dall’esterno. C’è di tutto: ragazz*, turisti, netturbini, commercianti del mercato di Campo de’ Fiori e qualche cliente fisso che, dopo anni, si integra perfettamente con l’arredamento. È un continuo viavai: ventilatore a palla e generazioni diverse che si incrociano e si sfiorano.
Il proprietario si chiama Angeloe dal 1956 lo gestisce insieme ai suoi figli. Qui serve il caffè e farcisce la classica pizza bianca romana. L’’unico non famigliare è Ercole, che si muove come una tarantola: qui è il tuttofare (è lui che è arrivato con la pizza bianca presa dal vicino Forno di Campo de’ Fiori).
Ordiniamo due caffè al banco ma due signori sconosciuti ci accolgono al loro tavolo. Ecco cosa intendo quando dico che Roma ti romanizza.
Il caffè è bruciato e in un altro contesto lo rimanderei indietro, ma guardo l’espressione sorniona e disincantata del barista, mi immagino il commento all’eventuale contestazione e, di colpo, mi sembra buonissimo. Scambiamo due chiacchiere e salutiamo. In totale spendiamo 2 euro e 40 centesimi, forse il conto più alto di tutta la giornata, con le dovute proporzioni.
Intanto Sophie mi vuole portare a fare un po’ di spesa, così ci spostiamo a Trastevere dove rimarremo fino a sera.
Antica Caciara Trasteverina: il vero pizzicarolo romano.
Direzione Antica Caciara Trasteverina dove, dal 1900, si vendono salumi e formaggi. Roberto, il proprietario, è salito sul bancone nel ‘66, dopo il nonno e il padre. Ama il suo lavoro e ce lo spiega davanti a un sacco di pecorino, vero protagonista del negozio. “Qui si trova uno dei migliori pecorini romani di tutta la città,” mi dice Sophie Minchilli all’orecchio, per non interrompere Roberto. Intanto Claudio, uno dei ragazzi al banco, ci fa degli assaggi: capocollo, finocchiona, formaggio canestrato e, ovviamente, pecorino romano.
Una signora alle spalle chiede del prosciutto crudo. Ha un accento nordico, che mi catapulta subito nella pianura padana, a casa e mi dice: “da Roberto ho ritrovato i sapori di quando ero ragazza. Vivo da tre anni nel quartiere e tutti i giorni passo a prendermi qualcosa”.
Roberto, che dà del lei a tutte e tutti. “Servo in egual modo chiunque. Vengono ministri e personaggi famosi con le guardie del corpo, ma per me sono tutti uguali, lo dico sempre ai miei ragazzi (Claudio, Luca e Andrea, mi dice di citarli tutti perché sono fondamentali per l’attività, ndr)”.
Usciamo con il nostro piatto da 2 euro e 76 centesimi. Sono le 11.30 e la prossima missione è trovare del pane per completare l’aperitivo mattutino.
Il Panettiere di Riccardo Nicolai: un pizzicarolo fermo agli anni ‘50
Pochi passi e arriviamo da Il Panettiere di Riccardo Nicolai, dietro il mercato di Piazza S.Cosimato che c’è tutte le mattine. Il forno venne aperto nel 1932; Alberto è guardingo alla cassa, ma da parecchio tempo ha coinvolto suo figlio Riccardo—tanto che l’attività porta il suo nome. “Lavoriamo bene insieme, perché comanda lui”, commenta il signor Alberto.
È praticamente un pizzicarolo, come si chiamano a Roma, fermo agli anni ’50; c’è qualsiasi cosa, ma i trasteverini lo frequentano soprattutto per la pizza bianca e rossa. “Al mercato nessuno vende il pane, quindi abbiamo anche molti clienti di passaggio,” aggiunge Riccardo.
Ora abbiamo tutto il necessario e ci sediamo all’ombra, su una panchina in piazza, pronte a godere. Abbiamo preso due pezzi di pizza bianca e, una rosetta, che non mangiavo da tantissimo (e che ho sempre chiamato michetta): è croccante, perfetta per accogliere nella sua cavità i salumi e che, come mi racconta Sophie, “sa di infanzia, da piccola la mangiavo sempre, a tutte le ore”. Totale speso: 1 euro e 80.
Hostaria Da Corrado: una gran pasta all’arrabbiata.
Con l’aperitivo ci si apre lo stomaco e, dopo una tappa al nasone (la tipica fontanella romana) per bere, andiamo all’Hosteria Da Corrado. “Il menu cambia tutti i giorni e ci sono dei piatti fissi che non conoscono stagioni: lunedì quadrucci in brodo, martedì seppie e piselli e fritto di pesce, mercoledì pajata (l’intestino del vitello da latte, ndr.), giovedì gnocchi e coda alla vaccinara, venerdì baccalà, sabato trippa e vitella alla fornara”, decanta Sophie Minchilli.
“Qui si rispettano le tradizioni”, inizia Massimo, figlio di Corrado, che aprì il ristorante nel 1971. “Siamo freschi di cinquantesimo anniversario, ma il gruppo de famija nun se cambia: lavorano qui i miei tre figli, uno in cucina co’ mi’ cugina, gli altri due in sala, più un nipote che fa er jolly”.
Sono le 12,30 e intorno a noi ci sono facce beate intente a mangiare o a riposare tra primo e secondo.
Ci buttiamo sulla pasta all’arrabbiata, che credo di non mangiare da 20 anni. Al dente, piccante il giusto, rigorosamente accompagnata dal pane del forno La Renella (anche questo istituzione trasteverina, ndr) per fare la scarpetta. Nella sua semplicità ti fa volare. Costo: 18 euro totale, più due di mancia.
Biscottificio Innocenti, dove non usano grassi animali
Prima del caffè—e non sarà un caffè qualunque—, passiamo dal Biscottificio Innocenti, dove non c’è l’insegna, lo devi conoscere. Già dalla vetrina si capisce la varietà di biscotti che vengono sfornati tutti i giorni: riconosco gli amaretti, il ventaglietto, i savoiardi e i brutti ma buoni, “i più venduti in assoluto” mi dice Stefania proprietaria del biscottificio dopo il nonno Sesto che lo aprì negli anni ’40. Anche il biscottificio è a conduzione familiare; un orgoglioso anti-modernismo che neanche tanto lentamente sta tornando di moda.
“A Roma non c’è una vera e propria tradizione di biscotti, a parte quelli con le visciole e le fave dei morti, che però sono legati solo ad alcuni periodi” continua Stefania. Sophie subito mi fa notare gli straccetti, una frolla tonda e sottile con frutta secca e vuole farmi assaggiare le pizzette rosse e i rustici e che assaggiamo prima di portarci via un vassoietto pieno di biscotti a 5 euro (27 euro al kg). Pizzette e rustici omaggio della casa.
Tra i tanti cartelli esposti me ne colpisce uno in particolare: qui non si usano grassi animali! “Da sempre al posto del burro scegliamo l’olio o la margarina vegetale: mio nonno faceva così e io non ho cambiato le ricette. Oggi in più torna comodo anche per i clienti con intolleranze o con i vegani,” chiude Stefania. In trend senza aver fatto nulla, come si diceva.
Bar San Calisto: il bar più democratico di Roma
Mi azzardo a dire che forse è tra i posti del cuore di Sophie e di tanti romani, il Bar San Calisto. La vedo sempre su Instagram mentre è qui a girare video con i vecchietti del quartiere. Nonostante il caldo insopportabile, un gruppetto di signori sta giocando a carte e ci accoglie affettuosamente: “Ci hai portato una tua amica americana?” esordisce Sergio. Chiarito con i presenti che no, non sono una turista, ci spostiamo all’interno per prendere la famosissima granita al caffè con panna, un must qui al San Calisto.
Soda e per niente dolce, la fanno esattamente così dagli anni ’30, anche se il bar è gestito da Marcello Forti solo dal 1969 (prima di lui si sono alternate altre famiglie). “Tutte le mattine Marcello prepara il gelato e poi torna a casa per pranzo” mi racconta Sophie. Un gelato che è forse il più economico di Roma, visto che costa da uno a due euro e cinquanta, panna compresa, ovviamente.
Alla cassa c’è Fabrizio, storico dipendente che ha lasciato il bancone a Matteo e Simone che si occupano della caffetteria e dei cocktail. Mi dicono che devo assaggiare per forza il gelato e fortunatamente viene in mio aiuto Marco, un cliente storico, che da bambino ha anche interpretato Vittoriano, l’indimenticabile bambino in Brutti, Sporchi e Cattivi di Ettore Scola. “Sono nato qui e continuo a venire per giocare a carte, per il gelato, per il caffè freddo, insomma per tutto!”.
La granita grande costava 3,50. Il gelato ce l’hanno offerto.
Da Biagio: un bicchiere di vino a tutte le ore
Inizia ad avvicinarsi l’ora dell’aperitivo e così andiamo Da Biagio Vini e Oli, un’enoteca degli anni ’60 ma nelle mani di Biagio dal 1972. “Io facevo il pastore” mi racconta. È un po’ diffidente ma grazie a un cliente che si sta bevendo un bicchiere di rosso si apre un po’. C’è anche il figlio Daniele dietro il banco, anche lui un po’ schivo: “Prima aprivamo alle 10,30 e chiudevamo alle 2 di notte, ora facciamo una pausa al pomeriggio, anche se qui si viene per bere a tutte le ore,” confessa sorridendo. “Prima era più vendita di bottiglie di solo vino, ora è aumentata la mescita anche di birra e cocktail”.
Mentre ci beviamo della spuma (fa troppo caldo per il vino), scatto anche qualche foto a Biagio che si rilassa e mi dice “sai che ho fatto l’attore nel film “Pranzo di Ferragosto”? Sono venuti qui a girare e ho interpretato me stesso, l’oste”. Mi mostra la locandina attaccata sul frigorifero, vicino alla scopa, con noncuranza. Saluti e baci, nessuno scontrino da pagare.
Dar Filettaro, la patria del Baccalà
Il nostro tour era arrivato al capolinea e abbiamo chiuso in bellezza in un altro posto autentico, Dar Filettaro: la patria del Baccalà fritto dal 1916. Come recita l’insegna fuori dal ristorante. La cucina è in fondo, con la padella sempre piena d’olio bollente, perché ci tuffano in continuazione e alla velocità della luce, pezzi di baccalà rigorosamente impastellati in uovo e farina.
Marcello guida il ristorante dal 1978, grazie alla soffiata di sua sorella che lavorava qui vicino e aveva scoperto che il locale era in vendita. È però il terzo gestore—ed è quello che ha apportato anche più modifiche al menu.
“Prima era solo osteria e filetti ma per seguire i tempi ho aggiunto antipasti, liquori e dessert”. Quando di stagione è obbligatorio prendere i carciofi o le puntarelle come contorno al baccalà altrimenti, com’è successo a noi, un piatto di valeriana che si chiama gallinella, qui a Roma. In teoria serve a sgrassare e rinfrescare.
Il costo della cena non lo so: Sophie si è offerta di pagare, molto carinamente.
Usciamo e provo più caldo di quando sono entrata, probabilmente anche per via della quantità di cibo ingurgitato. Però mi sento soddisfatta: tornerò in questi posti sentendomi un po’ una guida come Sophie e probabilmente mi prenderò anche il merito con qualche forestiero di aver scoperto questi angoli di vita vera. O magari lo mando a fare un tour con Sophie: lei sa proprio come romanizzarti.
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