Incisore e pittore, a livello popolare e di massa Francisco Goya non è ricordato per le sue note biografiche o per qualche particolare nozione storiografica. Quel che sappiamo di lui lo dobbiamo soltanto alle sue immagini, scolpite nell’encefalo a furia di dolore.
Il sonno della ragione genera mostri, Saturno che divora i suoi figli o Il 3 maggio 1808 sono visioni tormentate che illustrano al meglio l’anima più vera dell’uomo: nera come il ciclo delle “pinturas negras”, dipinti ad olio sui muri di casa propria. L’autore, nient’altro che un dotatissimo vandalo stracolmo d’angoscia, che si decide a deturpare le pareti della propria stanza per liberarsi di un pensiero notturno di troppo.
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Tommy Toxxic comincia il suo percorso d’artista così, in un abisso di musiche che seguono questa scia. “Quando ho cominciato mi sono dato il nome in suo onore: Young Goya,” e per quanto suoni bizzarro e singolare per la media dei rapper nostrani, non è un’uscita casuale, “Lo mantengo e tutt’ora mi ci ritrovo. Perché è stato grazie ai suoi lavori se ho capito davvero l’importanza dell’arte in sé. Quando ho visto per la prima volta quei corpi mezzo malandati e quasi sciolti, con il cuore in gola e il magone mi sono detto: ‘Cazzo, this is it. È questa la merda vera’.”
La musica di Tommaso Tocci è d’altronde quella tetra e surreale del Wing Klan, che forma insieme a Joe Scacchi e che trasuda vaporwave acida e hip hop classico imbevuti in un calderone di trap gotica: un suono tormentato che ormai è il loro marchio di fabbrica. Lievemente diversa è invece la formula esoterica utilizzata nei dischi solisti, prima con il sottovalutato Ghost e ora con il nuovo La danza delle streghe. Pare impossibile, ma è ancora più scura, e i fantasmi sono ancora più ostili.
Rispetto al Wing Klan la formula è ancora più scura, i fantasmi sono ancora più ostili.
Rispetto alla veste del progetto in comune, i dischi di Tommy scavano difatti dentro loro stessi con la foga di una sessione d’analisi finita male, tappezzata di minimalismo brutale, flow spesso volutamente monocorde e beat di un freddo siderale. “Sotto sotto, sono morto/ Non lo sento, il sottofondo / Sotto suolo, sotto vuoto / Sotto i piedi solo il vuoto”, canta in uno dei frammenti più incisivi e sentiti dell’album: “Harakiri”.
È il tipo di nenia melodica che torna spesso nelle tracce, un’ossessione sudata per le notti più irrequiete, che non è difficile immaginarsi come hit in una playlist particolarmente dark. “Non vi posso aiutare a capire / Siamo soli, sono solo / nel mio globo, nel mio corpo / Solo vuoto, solo odio”, insiste.

“Credo tu abbia colto nel segno,” mi racconta, “le tracce più belle sono quelle che mi escono di getto, dove esplode il flusso di coscienza.” E continua: “‘Harakiri’ è proprio una di queste, registrata l’estate scorsa a casa di mia nonna, in montagna. Mi ero portato il microfono per suonare a stecca durante la notte, nello scantinato. Mi ricordo perfettamente quel momento. È venuta da sola.”
O quasi, considerando quanto l’etica dell’impegno costante sembri essere un faro per il suo lavoro. Tanto che l’ansia intensa, o quantomeno l’attesa materiale per il giorno d’uscita del suo disco, sembrano quasi divorarlo materialmente, proprio come Saturno si mangia i suoi figli nel quadro di Goya, “Io spero che venga recepito al massimo, spero le persone capiscano”, ci dice con un trasporto che non può che essere reale.
“Le tracce più belle sono quelle che mi escono di getto, dove esplode il flusso di coscienza.”
Certo non manca di schiettezza verace, Tommaso, “Ho sempre provato a rendere la mia roba unica e diversa, a far capire agli altri quanto ci tengo. Ma so anche di essere ancora in quella fase in cui la maggior parte degli ascoltatori me li porto dietro dagli inizi”, così come non manca della voglia sincera di arrampicarsi sulla cima del mondo: “Noi non ci fermiamo mai. Lavoriamo come dei forsennati, sempre. Tutto il giorno in studio o a fare canzoni. Vogliamo prenderci tutto lo stivale, espanderci in tutta Italia.”
Insiste e sogghigna: “Il bello è quello di andare all’avventura, vedere cosa succede. Fermarsi a casa propria o alla piazza dove già ti conoscono non ha senso, lì sei più protetto. Io sono qua pronto a dimostrare quanto valgo. Farò uscire musica finché non esplodono tutte le casse d’Italia.” Eppure, i Wing Klan hanno i piedi ben piantati nella realtà della scena romana, una delle più fertili e promettenti, tra le basi di “TruceKlan e Achille Lauro che sono entrambi potenti”, senza dimenticare fondamentali come “Colle der Fomento e, vabbè, magari altre realtà tipo Gente de Borgata. A Roma siamo in tanti.”

Ma a dare il là al motore della musica di Tommy Toxxic fu proprio l’espressione cruda di Metal Carter, Gel o Chicoria, senza contare Noyz Narcos, “Per me, il padrino, con le sue rime quasi da denuncia per quanto so’ grevi”. Si finisce per dare persino un po’ per scontata questa dimensione romana, visto che “il romano tutti lo sanno com’è. Uno che comunque dice, Non sono da meno. Che si vuole far vedere. O magari desidera sparigliare le carte e fare un trucco di magia come Achille Lauro, oppure la Dark Polo Gang.”
Paradossalmente, però, il piccolo Goya dimostra di amare una dimensione più amena e raccolta, nonostante barre come “Sono qui che rappresento Roma centro e le chiese / Te mi guardi male, ma che cazzo sei, la celere? / Se mi stai sul cazzo, piuttosto accelero / Ammazzo balene con i pezzi di ferro”, nella traccia d’apertura “Stregato”, con la sua ossessiva melodia che s’appiccica sul fondo della gola. Una melodia che dimostra una volta in più il dono non comune per la ricerca di timbri e armonie che possano perseguitare la memoria per giorni.
“Noyz Narcos per me è il padrino, le sue rime sono quasi da denuncia per quanto so’ grevi.”
“Questa roba territoriale è strana”, mi confessa. “Io per metà sono pure veneto. E se penso a tanti rapper fortissimi, tipo Fabri Fibra o Massimo Pericolo, vengono dalla provincia. Una cosa proprio figa.” Per quanto di primo acchito l’idea lasci un po’ dubbiosi, il senso è chiaro: “L’isolamento, il minimalismo, persino l’aspetto della depressione…Vivere in luoghi dove ti affacci e magari in tutta la giornata passa una sola persona. Ha una dimensione simbolica potentissima. Forse non è un pensiero troppo convenzionale”, lui stesso si domanda.
La risposta più semplice arriva dai nomi che mi rilancia, a partire da Sicurezza e Gengar, “Ogni tanto passano a Trastevere, così ci becchiamo. Davvero due bravi ragazzi ‘sti amichetti nostri”. E arrivare al “loro” NIKENINJA, Davide Maruotti, che produce e crea i beat della maggior parte delle tracce del Wing Klan. “Lui secondo me è fortissimo, un mezzo mago. Anche Ketama ci è andato abbastanza in fissa. Deve aver sentito qualcosa di speciale in ‘sto ragazzo”, ci rivela.

“In Davide ho trovato un vero fratello. Mi fido totalmente. Lui mi manda i pacchi di beat e io mi metto a scrivere. Ha sia un lato freddo, triste e siderale, che la capacità di fare casino con musica iperattiva,” un approccio che ritroviamo negli altri produttori che hanno messo mano al suo solista, La danza delle streghe, cioè Crookers e Nic Sarno. “Il primo volendo può far davvero muovere il culo a mezzo milione di persone, pensa al remix di “Day’n’Nite” di Kid Cudi. Nic invece è veramente come Gandalf, un saggio. Insieme mi hanno proposto di tutto, dai momenti molto tetri di ‘Voci’, un po’ alla Lil Peep, a cose più movimentate come in ‘Wow’ o ‘Emrata’. Sono ancora emozionato all’idea di aver lavorato con loro, sono dei fenomeni e dei veri mostri sacri. Gente che sa tutto tanto della storia dell’hip hop quanto dell’elettronica.”
Curioso notare quanto questo disco viva di queste due anime frammentate, indubbiamente, ma che entrambi questi aspetti vengano racchiusi dalla cifra stilistica di Tommy, che sembra già essersi concretizzata in una visione solida e decisa. “Io penso sia necessario saper fare un po’ di tutto. Non basta essere i fenomeni del momento,” ci dice, “bisogna dimostrare qualcosa e allenarsi a parlare a un pubblico sempre diverso.”
La danza delle streghe vive di queste due anime frammentate, ma racchiuse nella visione di Tommy.
Quello che intende è presto detto: “È come con i pittori. Fino al giorno della loro morte loro stanno là per servire al mondo le loro visioni. E devono sempre essere pronti a dipingere. Io lavoro allo stesso modo, e chissà che un giorno non provi veramente a pitturare. Per ora mi limito a mostrarvi i miei dipinti con la mia musica.” Una musica che in La danza delle streghe ospita feat di Ugo Borghetti, “La genuinità fatta persona, un simposio di verità”, Ketama & Franco, Prince dei Tauro Boys e, ovviamente, Joe Scacchi.
A riconferma di quanto siano un’unica famiglia allargata, “Ci siamo tajati un sacco, a registrare in camera o nella mansarda di Carl Brave, gli occhi rossi e duemila canne”. E “la meraviglia di Ketama, che quando ha fatto il cambio di flow in ‘Wow’—In verità non dovrei guidare niente / Da quando mi hanno levato la patente / Non conto soldi, lo faccio fare al Sergente / Vogliamo tutto, siamo partiti dal niente—ci ha fatti impazzire, o la penna straordinaria e multiforme di Franco, uno che sa davvero scrivere” a fare da sfondo a una registrazione schietta e vissuta, tra uno scambio di strofe a ripetizione con Prince e i conti da chiudere con se stessi e con il proprio ruolo.
Tanto che in realtà questo disco-quadro era pronto da diverso tempo, ma Tommy aveva l’impressione mancasse qualcosa, e questo elemento sfuggente non era altro che la fondamentale cornice, l’aria di famiglia regalata dai featuring, “Lovegang, la tua tipa ci amerà / Wing Klan, la mia folla volerà.” Nel raccontarmi la differenza tra i suoi due parti solisti, mi descrive una somiglianza strana, ma pregnante e profonda: “All’interno del mio essere ho sia ‘Ghost’ che ‘La danza delle streghe’, solitudine e morte da una parte, e dall’altra una prospettiva più ampia sul mio percorso e sulle mie ansie. Se il primo è un passaporto, quest’ultimo disco è il mio viaggio, la montagna russa che sto affrontando.”
In questo viaggio, i colori che rimangono sulla retina e sulle pareti della mente sono spesso tetri e ossessivi quanto le melodie di questo disco—la sua cifra espressiva—, e se già la musica dei Wing Klan sprofonda nel cuore di chi la produce e di chi l’ascolta, quando Joe e Goya procedono da solisti si affonda ancora più in fretta. Una volta in più, è uno scontro strano e inatteso, ma del tutto sensato, dove si è accompagnati da rime quali “Imparare a morire / è come fare Harakiri / Tommy Toxxic nato a Londra / dentro i fumi della droga”, e un attimo dopo ci si racconta col sorriso pieno e gonfio quanta felicità porti l’uscita del disco.
“Imparare a morire / è come fare Harakiri / Tommy Toxxic nato a Londra / dentro i fumi della droga.”
L’incertezza e le fratture non sono solo immaginate, ma vissute ogni giorno. “Da un po’ mi consigliano tutti l’analisi,” ci rivela, “Io ci sono andato e, dopo un’ora di sfogo e pianti davanti a questa persona, la psicologa ha capito che io scrivevo. E mi ha detto che potrei riuscire a curarmi facendo quello che sto facendo.” Una psicologa che tra l’altro, quando si dice la sincronicità, ha prestato la voce ad alcuni dischi degli Assalti Frontali, “che mi sono recuperato”.
Non è l’unica sorpresa: “Una delle terapie che sto affrontando è proprio l’ascolto della mia musica. Il tentativo di capire perché per me funziona come una seduta di psicoanalisi, qualcosa che mi permette di superare ogni timidezza e sfogare tutto sopra il palco, a fare il matto senza vedere o notare più nient’altro”. A cercare di superare persino la paura più estrema per un musicista, quella di cui gli hanno chiesto conto anche il padre e la madre, oltre alla psicologa e a noi.
Ora, “Devo ammettere per la prima volta, col sorriso, che un po’ lo sento… O meglio, un po’ è vera questa cosa. C’è il timore che risolvendo i miei problemi la musica possa uscirne inaridita. O addirittura scomparire. Ma cercherò sempre di combattere perché ciò non avvenga. E poi penso sia naturale”, ci ricorda ridendo, “persino Fabri Fibra e Noyz Narcos si sono un po’ calmati, col tempo. È questione di evoluzione, ma anche di cercare di non impazzire.”
Tra una chiacchiera finale su artisti per lui fondamentali, quali XXXTentacion e Yung Lean, ci rimane però un’immagine molto fisica, che incarna appieno queste angosce e tormenti: “La cosa di fare ‘Harakiri’, capito, la sento davvero. Ho fatto un incidente tempo fa e quando mi hanno operato è rimasta una cicatrice di trenta centimetri sullo stomaco. Un taglione. È come se l’avessi fatto davvero, quel gesto da samurai.” Mentre lo racconta, sento altre parole: “Siamo soli, siamo tanti / Senza voglia, ignoranti / Parla un uomo, solo, solo / dico solo: ‘Siamo soli’”, streghe e fantasmi sono reali e si contendono questa musica.
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Hello, handsome – Credit: Matt Jancer -
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