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Il nuovo album dei Vampire Weekend è un casino, ma in senso buono

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Pochi giorni prima di Natale 2014, Ezra Koenig dei Vampire Weekend ha fatto uscire una strofa rap. Dopo Modern Vampires of the City, uscito nel 2013, che ha vinto un Grammy e ha debuttato in prima posizione sulle classifiche di Billboard, la band era più famosa che mai. Quindi riemergere in un remix di “Down 4 So Long” di iLoveMakonnen è parsa una scelta curiosa (al di là dei paralleli con le prime avventure musicali di Koenig). La strofa è distaccata, buffa e decisamente ancorata al suo tempo, con i suoi riferimenti allo scandalo delle foto leakate da iCloud e alla Shmoney dance. Ma se si va oltre i vari strati di ironia, sembra che Koenig, successo a parte, non sia del tutto a suo agio con se stesso. “Odio me stesso, penso che gli americani facciano schifo”, mormora. “Ma gli altri paesi mi fanno sentire strano come un pisolino pomeridiano”.

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“Down 4 So Long (Remix)” è troppo poco e troppo poco seria per essere considerata un momento importante della leggenda dei Vampire Weekend, ma evidenzia una fastidiosa incertezza di Koenig, che contrasta con l’aria di infallibilità che la band aveva acquisito dopo Modern Vampires. Ho pensato a quell’incertezza di tanto in tanto nei cinque anni che sono passati, in cui la band è stata perlopiù assente dalle scene internazionali. E mi è tornata in mente di nuovo ascoltando Father of the Bride, il lungamente atteso quarto album dei Vampire Weekend che è uscito venerdì. FOTB non è insicuro; al contrario, è meno accomodante di qualunque altra cosa la band abbia mai fatto. Ma la band ha deciso di ignorare qualunque direzione particolare in favore di una sorta di irrequietezza artistica. Rimbalza tra sonorità in maniera quasi disorientante, in un netto tentativo di evitare quel tipo di pop conciliante che a volte segue un successo colossale come quello di Modern Vampires.

Le dinamiche della band sono state mescolate dall’inizio della pausa nel 2013. Koenig ha lanciato un programma radio su Beats 1 e creato una serie animata su Netflix. Smontando una canzone degli Yeah Yeah Yeahs, ha creato un ritornello classico istantaneo per Lemonade di Beyoncé. La sua fidanzata Rashida Jones ha dato alla luce il loro primo figlio la scorsa estate. Nel frattempo, il batterista Chris Tomson ha pubblicato un album solista e il bassista Chris Baio ne ha pubblicati due.

L’avvenimento più importante, però, è stato l’abbandono di Rostam Batmanglij all’inizio del 2016. Rostam ha prodotto i primi tre album della band ed era molto coinvolto nella scrittura delle canzoni. Ha lasciato per lanciare la propria carriera solista e concentrarsi sulle collaborazioni (la più degna di nota con Hamilton Leithauser dei Walkmen per il sottovalutato album I Had a Dream That You Were Mine).

Rostam è rimasto in buoni rapporti con la band—qui contribuisce a due canzoni—ma la sua uscita segna una forte deviazione dalla grandeur di Modern Vampires. FOTB è libero e peculiare, e saltella dal loro tipico pop barocco al rock al country al folk, piegando ogni nuovo suono alla sua volontà. Contiene esperimenti volubili (“My Mistake”) e psichedelia disordinata e nervosa (“Sunflower”). Contiene ben tre duetti con Danielle Haim: uno sembra una canzone Disney in senso buono (“We Belong Together”), un’altro in senso cattivo (“Married In a Gold Rush”); il terzo accentua le sue strofe con un bellissimo sample preso dalla colonna sonora di Hans Zimmer per La sottile linea rossa.

Nonostante la reputazione da band con una tecnica limitata, i Vampire Weekend sono sempre stati vari e hanno sempre operato all’interno di un raggio tematico ampio. In pochi anni, si sono evoluti dalle prese di posizione sull’utilizzo delle virgole a scambi di sguardi con Dio senza strappi. Il terreno esplorato da FOTB sta paradossalmente tra l’avanzata e la ritirata. La palette della band si è ingrandita, anche quando la capacità tematica si è ristretta.

Modern Vampires era soprattutto determinato dalla fissazione di Koenig per la morte, che non è più l’unico fuoco in Father of the Bride. Eppure la scrittura dei testi è ancora densa e piena di intento. Koenig riempie le canzoni di campioni, riferimenti ed enigmi da decifrare. “Sympathy,” uno dei momenti più sontuosamente sinceri dell’album, è venata di umorismo nero e caustico; “Spring Snow” e “Unbearably White” sono vividi ritratti pieni di pathos. “Jerusalem, New York, Berlin” affronta un classico argomento della musica pop, la Dichiarazione di Balfour del 1917 (che ufficializzava il supporto britannico alla Palestina come “casa nazionale delle persone ebree”, un fatto che conoscevo perfettamente senza dover consultare Wikipedia). Koenig sa ancora essere laterale e sfuggente, ma quello che fa qui può dare grandi soddisfazioni se l’ascoltatore si prende il tempo necessario a comprenderlo.

Ma al di là di tutta questa pesantezza, Father of the Bride risulta ottimista e fresco. A volte troppo fresco, addirittura; pseudo-interludi come “Bambina” e “2021” funzionano bene ma non lasciano il segno, viene da chiedersi se non potessero essere sviluppati meglio. Sono porzioni stranamente minori, come se il disco volesse levarsi di dosso la pelle da Grande Album-Evento™ (e probabilmente è proprio così: “Nell’ultimo disco, avevo questa leggera sensazione che fossimo diventati un po’ troppo famosi”, Ezra ha confessato a GQ poco tempo fa). Koenig spesso suona più tendente a contenersi che a impegnarsi sul serio. Quando, all’inizio di “Sympathy”, Ezra dice: “Penso di prendermi troppo sul serio… non è così serio”, sembra di sentire le sue ambizioni sgonfiarsi. Simili momenti di autocritica si affacciano in quasi tutto Father of the Bride; Koenig ha reclutato Jerry Seinfeld per il video di “Sunflower”, ma le sue nevrosi sembrano più vicine a quelle di George Costanza.

Ma la sua leggerezza finisce per caratterizzare FOTB; non resti mai troppo a lungo in nessun punto. C’è uno slancio che neutralizza quella fastidiosa sensazione che l’album sia circa un quarto più lungo di quanto dovrebbe essere. Che funzioni o meno, dipende. L’ingombrante portata di FOTB—18 canzoni e un’ora di durata—fa spazio a tutta la sua varietà. Funziona anche da limite per la sua efficacia, facendo prevedere un successo meno dirompente.

Quello che funziona, qui, tuttavia, è piuttosto innegabile. Il singolo “Harmony Hall” è una sintesi quasi perfetta del fascino dei Vampire Weekend, composto perfettamente e ricco di emozione. “This Life” è una delle canzoni pop più puramente piacevoli dell’anno. “Stranger” è similmente immediata, con dei fiati che non suonerebbero fuori posto in Moondance. “Hold You Now” e “Unbearably White” sono sottili e bellissime. La incalzante e spagnoleggiante “Sympathy” e la cangiante “Flower Moon” ribollono di energia nervosa. Il pop rassicurante che emerge di tanto in tanto in FOTB funziona da polizza di assicurazione contro le digressioni dalla formula canonica dei Vampire Weekend; ogni esperimento avventato (come il pesante lounge di “My Mistake” o la stucchevole “Married In a Gold Rush”, che adotta una cadenza country e la veste di electro-pop) è accompagnato da una scarica più diretta verso i centri del piacere dell’ascoltatore.

Father of the Bride usa gli echi del passato per legare con chi ascolta. “Harmony Hall” richiama e amplifica il disperato refrain di “Finger Back”: “Non voglio vivere così, ma non voglio morire”. Più avanti, Koenig ammette che l’età e il tempo non possono procurarti la sicurezza di cui hai bisogno; le battaglie della vita non si vincono, ma evolvono. “Baby, lo so che l’odio aspetta sempre alla porta, pensavo solo che l’avessimo chiusa a chiave quando ce ne siamo andati stamattina”, canta in “This Life” (che cita iLoveMakonnen, tra l’altro). In un certo senso, è un po’ quello che diceva in “Step” nel loro ultimo disco: “La saggezza è un dono ma la scambieresti per la giovinezza… l’età è un onore, ma lo stesso non è la verità”. È un difficile riconoscimento del fatto che l’età e il successo non hanno aiutato Koenig a capire il senso della vita. Molte cose sono cambiate negli ultimi sei anni, ma molte cose sono anche rimaste uguali.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su VICE US.

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