Se il Negroni ora è quello che conosciamo di più, mentre il Cardinale è quasi dimenticato, è perché è nato prima. Se bisogna scegliere un cocktail che rappresenta una nazione, si guarda a quello più “vecchio”.
Forse non tutti sanno che anche Roma ha il suo cocktail, proprio come Firenze ha il Negroni, e Milano lo Sbagliato.
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Per un bel po’ mi sono domandato quale fosse il cocktail tipico della Capitale, imbattendomi in decine di sgroppini fatti male, Biancosarti con la soda e il popolarissimo Campari con gin, capace di farti venire leggendari hangover, perché uno tira l’altro. Poi, finalmente, la rivelazione. Che non poteva essere più rappresentativa di Roma: il Cardinale, che racchiude storie di guerra, della Dolce Vita e, naturalmente, del Vaticano.
Oggi tutti vanno al bancone di qualsiasi bar del mondo a ordinare un Negroni, il cocktail in parti uguali fatto con gin, bitter e vermouth rosso. E il Cardinale, suo cugino diretto per composizione e colore, è invece caduto abbastanza in disgrazia, appannaggio di pochi nerd della mixology.
Per aiutarmi a ricostruire la storia di questo cocktail una volta conosciutissimo oltreoceano, e su cui molti riportano versioni inventate o errate, sono andato a trovare Luca Di Francia, bartender che da 23 anni serve il Cardinale all’Orum Bar del Westin Excelsior Hotel in via Veneto a Roma, dove il Cardinale è nato.
L’Excelsior è stato uno dei primi hotel ad avere un vero bar e, con la fine dell’autarchia e l’arrivo degli americani, ha cominciato a diffondersi la mixology in Italia.
“Prima degli anni ‘50 il bar dell’Excelsior non era nemmeno un bar,” mi dice Luca Di Francia, che è anche un pilastro dell’AIBES (Associazione Italiana Barmen e Sostenitori). “A dire il vero non c’era nemmeno una vaga idea di mixology: c’era un bartender, il signor Casamassima, che però passava tra i clienti con un carrellino allietandoli con liquori e cordiali”
“Ti sei mai chiesto perché nei bar d’hotel c’è un servizio più rigido e impostato? Perché finita la guerra servivano persone che sapessero più lingue. E chi faceva scuola militare o andava al fronte le conosceva”
Di colore rosso rubino, come la toga cardinalizia, il Cardinale va un attimo contestualizzato. L’Hotel Excelsior, che si trova esattamente di fronte all’ambasciata USA, è stato il luogo occupato dalle forze statunitensi nel 1944 come quartier generale. In parole povere è stato il teatro delle macchinazioni del generale Clark, che hanno sancito la fine della Seconda Guerra Mondiale.
“Ti sei mai chiesto,” mi chiede Luca Di Francia, “perché nei bar d’hotel c’è un servizio più rigido e impostato? Perché finita la guerra servivano persone che sapessero più lingue. E chi faceva scuola militare o andava al fronte le conosceva”.
Dalla guerra alla Dolce Vita è un attimo. In mezzo c’è il Cardinale e la sua storia. Via Veneto fin dall’ 800 era molto frequentata dai prelati: Quella che oggi è il simbolo di alberghi e lusso, una volta era una passeggiata costeggiata di vigneti dove membri del clero passeggiavano. “Nel 1950, Papa Pio XII si rese conto che c’erano moltissimi cardinali stranieri,” mi racconta Luca Di Francia. “E decise di indire un Giubileo per riunirli tutti a Roma.” L’Excelsior è stato uno dei primi hotel ad avere un vero bar e, con la fine dell’autarchia e l’arrivo degli americani, ha cominciato a diffondersi la mixology in Italia. In più Cinecittà cominciava ad aprire le porte a Hollywood e gli hotel di lusso di via Veneto cominciavano a ospitare i divi del cinema.
“Il bartender dell’Excelsior, ai tempi, era Giovanni Raimondo, che aveva girato la Costa Azzurra e conosceva le lingue. A quel tempo non è che ci fosse molto a disposizione: si cominciavano a fare i primi twist sui drink classici per necessità più che altro.”
il Cardinale, per via della sua dolcezza più spiccata, era il cocktail aperitivo che andava di più in USA, non il Negroni come possiamo pensare ora. E ha avuto successo perché alcune delle personalità più importanti del mondo alloggiavano all’Excelsior
Tornando alla storia del Cardinale: nel Giubileo del 1950, i cardinali si riunivano all’Excelsior per rilassarsi. A questo cardinale, tale Joseph Spellman, che era un tipo importantissimo tanto da essere soprannominato il Papa Statunitense, piaceva sedersi e sorseggiare vino. E ogni volta ordinava a Giovanni Raimondo un calice di vino Renano della Mosella. Un riesling, per farla semplice. “Siccome non aveva a disposizione chissà quante bottiglie, Raimondo propose al cardinale Spellman un cocktail in suo onore. ‘Se lei lo ritiene opportuno, sarebbe cosa gradita che accettasse un cocktail fatto per lei con i colori cardinalizi’. Queste sono le parole con cui gli vendette il drink.”
E da quel momento se ne è bevuti una bella quantità e la gente ha iniziato a ordinarlo. Non solo: il Cardinale, per via della sua dolcezza più spiccata, era il cocktail aperitivo che andava di più in USA (come ricorda il Re dei bartender Dale DeGroff nel suo “The New Craft Of The Cocktail”), non il Negroni come possiamo pensare ora. E ha avuto successo perché alcune delle personalità più importanti del mondo alloggiavano all’Excelsior.
Se il Negroni ora è quello che conosciamo di più, mentre il Cardinale è quasi dimenticato, è perché il Negroni è nato prima. E tendenzialmente se bisogna scegliere un cocktail che rappresenta una nazione, si guarda al più “vecchio”.
All’Orum Bar viene ancora fatto con la ricetta di una volta. Luca e i suoi colleghi si avvicinano con un trolley e lo preparano davanti a loro aggiungendo varie profumazioni per personalizzarlo.
Come è successo per il Negroni, anche il Cardinale è stato soggetto a leggende e incomprensioni: alcuni dicono che sia stato il cardinale stesso a inventare la ricetta (un po’ per imitare la storia del conte Negroni), altri che il nome sia Schumann, per esempio (non c’era nessun cardinale con questo nome nel Giubileo 1950, mi ha detto Luca Di Francia). E riportano ricette sbagliate che sono praticamente quelle del Negroni, solo sostituendo il vermouth rosso con quello secco.
“Il Cardinale è un cocktail da aperitivo abbastanza leggero, non è come il Negroni,” continua Luca. “Non era fatto in parti uguali, ma da 30 ml di gin, 20ml di riesling arricchito con chiodi di garofano e arancia e 10ml di Campari, per dargli quel colore. Quando è stato codificato, il vino ovviamente è stato sostituito dal vermouth secco perché non puoi fare un cocktail con un liquido che una volta aperto deperisce facilmente.”
E le proporzioni cambiano un pochino: 25ml di gin, 15 ml di vermouth secco e 10ml di Campari, abbellito con scorza di limone.
All’Orum Bar, però, viene ancora fatto con la ricetta di una volta. Luca e i suoi colleghi si avvicinano ai clienti con un trolley e lo preparano davanti a loro aggiungendo magari varie profumazioni per personalizzarlo (come fanno con il Martini Cocktail al Connaught di Londra).
Si versano i liquidi in un mixing glass, si diluisce con il ghiaccio e si versa in una coppetta. Che all’Orum Barè ancora quella antica bordata d’oro.
Ti ritrovi davanti una coppetta -che ho avuto la fortuna di bere dopo due ore di sonno alle 11 di mattina- di un rosso tenue, come un anello con una pietra di rubino e la assaggi. Tutto razionalmente ti dice che tra gin, bitter e vermouth dry quel cocktail dovrebbe essere bello secco. E invece ti frega: dolcino, con una punta di amaro che ti apre una galleria nello stomaco, è un’arma diabolica che ti invoglia a farsi bere almeno una dozzina di volte una dietro l’altra.
La prossima volta che andate al bar e avete voglia di un Negroni, provate a chiedere un Cardinale. Riportiamo in auge un cocktail mezzo dimenticato che parla della Dolce Vita e di intrighi dal colore che viene bene pure su Instagram.
Make Cardinale Great Again.
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