Cosa sono i vini naturali? Questo breve spiegone è pensato per tutti coloro che se lo chiedono. O vorrebbero chiederlo ma temono di far figure. E anche per tutti quelli che invece a questa domanda devono rispondere e non ne hanno voglia. Ma soprattutto, è pensato per mia madre. Non una madre ipotetica, astratta, collettiva. No, proprio la mia: Sandra. Che qualche anno fa di punto in bianco mi ha visto sprofondare in questa meravigliosa ossessione dei vini naturali e ancora teme, ma ha paura ad approfondire, che il mio sia solo alcolismo ecologista.
Mamma, fidati, c’è molto più di questo.
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Vino Naturale: provo a spiegarmi
“Naturale” resta il miglior compromesso che si è trovato fin qui per definire questo genere di vini
Prima un po’ di contesto, cara mamma, perché se oggi ti potrà sembrare che in alcuni ambienti il vino naturale sia addirittura di moda, devi sapere che nasce come una reazione che oserei definire “politica” alla viticultura industriale che a partire dagli anni Sessanta ha impoverito i suoli, avvelenato i campi e trasformato il vino in una bevanda aggiustata per adattarsi alle richieste del mercato.
Ci sono varie storie sull’origine del vino naturale. Una delle più citate, raccontata anche da Alice Feiring nel libro Naked wine, ci porta nel Beaujolais, alla fine degli anni Settanta, quando un manipolo di produttori si rese conto che il proprio vino, a forza di rincorrere il gusto del pubblico, era diventato una bevanda dolciastra e sempre uguale a sé stessa. Questi vignaioli (Marcel Lapierre, Max Breton, Jean Foillard, Jean Thévenet) si ispirarono all’esperienza di Jules Chauvet, uno scienziato e produttore che, sempre nel Beaujolais, vinificava senza additivi, ottenendo un vino vivo, vibrante, molto diverso dal gusto standardizzato che ormai si era impadronito della regione. Iniziano anche loro a fare il vino senza additivi, a convertire le vigne al biologico e a ritrovare nel vino il carattere del territorio. La loro esperienza e il passaparola hanno contagiato altri produttori della regione, poi di altre regioni, poi di altri paesi.
Ripeto, non è l’unica storia, ce ne sono altre, comprese quelle di chi ha sempre fatto il vino in questo modo, senza però chiamarlo naturale. Tutte queste storie hanno però in comune un fatto: il rifiuto della viticultura industriale, dell’abuso della chimica, della spinta sulla produttività, della manipolazione del vino in funzione di un canone imposto dall’esterno: che sia il gusto dei consumatori o il giudizio degli esperti.
Il concetto è: più biodiversità c’è in vigna, più le piante saranno in equilibrio e capaci di proteggersi da sole, meno trattamenti saranno necessari, più il suolo sarà fertile e in salute, più l’uva che raccogli sarà sana e di qualità.
Per descrivere tutto questo sappiamo che la parola “naturale” non è perfetta. Si sente spesso bacchettare che “il vino non può essere naturale perché lo fa l’uomo” oppure tutto il contrario “il vino è sempre naturale, perché si fa con l’uva”. Avete tutti ragione, però “naturale” resta il miglior compromesso che si è trovato fin qui per definire questo genere di vini. Le alternative: “nudi”, “genuini” non hanno mai attecchito veramente.
Per quanto la parola sia opinabile (in fondo ogni parola lo è, ma non mi addentrerò per questa via) la definizione è più o meno condivisa. Un vino naturale nasce da una viticultura che esclude tutte le sostanze chimiche di sintesi (pesticidi, diserbanti, concimi), tratta solo con rame e zolfo ed è orientata alle basse rese.
Una vigna naturale la riconosci per la vegetazione varia che ci vive in mezzo: fiori, piante, erbe spontanee. Molto diversa dall’immagine classica dei filari ordinati intervallati dal pratino rasato. Il concetto è: più biodiversità c’è in vigna, più le piante saranno in equilibrio e capaci di proteggersi da sole, meno trattamenti saranno necessari, più il suolo sarà fertile e in salute, più l’uva che raccogli sarà sana e di qualità.
Purtroppo, per qualche ragione il vino non è considerato un alimento e dunque non c’è l’obbligo di elencare gli ingredienti in etichetta.
La vendemmia si fa a mano nel momento in cui le uve hanno raggiunto la maturazione perfetta. Fare a meno della meccanizzazione permette infatti di selezionare meglio i grappoli e riduce il rischio di danneggiarli. Nella fase di cantina poi l’uva viene accompagnata nella sua spontanea evoluzione senza intervenire con additivi enologici o trattamenti per correggere l’aspetto, il profumo o il gusto del vino.
E forse mamma ti starai domandando, ma quindi nel vino che compro abitualmente che ci può essere oltre all’uva? Be’ un sacco di cose: lieviti selezionati, correttori di acidità, albumina d’uovo, gomma arabica, cremor tartaro, colla di pesce, proteine vegetali, enzimi vari, e altri coadiuvanti che hanno effetti su gusto, colore e consistenza. Sto solo citando alcuni della lunga lista di additivi ammessi per la vinificazione. Nessuno di questi additivi ti farà più male dell’alcol, sia chiaro, ma è anche giusto sapere che ci sono. Purtroppo, per qualche ragione il vino non è considerato un alimento e dunque non c’è l’obbligo di elencare gli ingredienti in etichetta.
Il processo di fermentazione alcolica produce naturalmente piccole quantità di solfiti, senza bisogno di aggiungerli.
L’unico additivo ammesso nel naturale, in basse quantità, è la solforosa: un conservante che stabilizza il vino. Però la quantità fa una bella differenza – nei naturali ne troverai massimo 30-40 mg/litro, in quelli “convenzionali” fino a 200 mg/litro – e anche questa è un’informazione che non abbiamo in etichetta. Poi in realtà sono molti i vignaioli che non la aggiungono affatto e sostengono che un vino può chiamarsi naturale solo senza solforosa aggiunta. Tra l’altro il processo di fermentazione alcolica produce naturalmente piccole quantità di solfiti, senza bisogno di aggiungerli.
Una cosa bella dei vini senza solfiti aggiunti (o con basse quantità di solfiti) è che puoi scolartene una bottiglia intera: il giorno dopo sarai un fiore. Alcuni dicono che è una bugia, una trovata di marketing. La mia esperienza personale mi dice che invece è proprio così, anche se in effetti cara mamma, questa immagine di me che mi scolo bottiglie intere potrebbe portarci fuori tema.
Ma quindi è un vino biologico? No. O meglio, a livello agricolo sì, ma poi in cantina c’è molta differenza perché il disciplinare biologico ha maglie larghissime e di fatto ammette quasi tutti gli additivi e i processi concessi per il vino convenzionale. Tanto che ci sono dei produttori naturali che pur avendo la certificazione biologica non la espongono sulla bottiglia, perché rischia addirittura di essere fuorviante.
Allora è biodinamico? Nemmeno. La biodinamica, benché non certificata a livello istituzionale ma da enti privati, segue una precisa disciplina agricola ispirata ai principi di Rudolf Steiner e basata su preparati omeopatici e calendari lunari. Molti produttori naturali sono certificati biodinamici, altri seguono solo alcuni principi della biodinamica. In cantina anche il protocollo biodinamico è più permissivo rispetto al naturale.
Una bottiglia di vino a 4 euro è molto dannosa, perché oltre a rifilarti un vino scadente, nasconde i costi ambientali che si porta dietro
Ma quindi come riconosco un vino naturale? Eh, bella domanda, cara mamma. Perché per quanto possiamo metterci d’accordo, resta il fatto che una regolamentazione non c’è. E che quindi chiunque può fregiarsi di questo titolo fino a prova contraria. Certo che se poi le regolamentazioni portano a compromessi al ribasso come quello sul vino biologico, forse meglio non averne.
Un modo per orientarsi, benché imperfetto, è consultare le associazioni di vignaioli naturali, che hanno dei disciplinari e (in teoria) vigilano sui propri iscritti attraverso le analisi del vino. Ne cito solo alcune: Vini Veri, VinNatur, Vini di Vignaioli, ViTe, VAN, Renaissance des Appellations francese e italiana, AVN, Vins SAINS. Se il controllo interno è serio, consultarne gli iscritti può essere un criterio per capire chi fa vino naturale. Quasi tutte queste associazioni poi organizzano delle fiere, il che può essere una buona scusa per incontrare i produttori direttamente.
Sì, ma per comprarli come si fa? Trovarli al supermercato è pressoché impossibile. Però ormai in ogni città ci sono molti locali specializzati e gestiti da persone appassionate all’argomento. Per rintracciarli, oltre agli articoli di Munchies, esiste ad esempio una app che si chiama Raisin e mappa enoteche e ristoranti che hanno almeno il 30% di vini naturali in carta.
Però mamma promettimi che se in uno di questi posti chiederai un vino naturale e la persona al di là del bancone farà lo sguardo perso e ti dirà: cioè biologico? Ecco promettimi che uscirai e ne cercherai un altro.
Oppure cara madre, in uno slancio tecnologico che spero non ricadrà in alcun modo su di me, potresti comprare qualche bottiglia online. Ci sono vari ecommerce specializzati nei vini naturali come Rollingwine, Decanto, Meteri, Wine Symphony, WineYou, o altri più generalisti come Tannico dove si può filtrare per categoria “biodinamici e naturali”.
Certo dovrai prepararti a spendere un po’ di più, ma spero di convincerti che questo è un bene: una bottiglia di vino a 4 euro è molto dannosa, perché oltre a rifilarti un vino scadente, nasconde i costi ambientali che si porta dietro. Bere meno e bere meglio è senza dubbio un’opzione saggia.
I vignaioli naturali in molti casi recuperano e tutelano le varietà locali, con gran guadagno della biodiversità generale e dei nostri palati.
In conclusione, ti verrà da chiederti, questi vini naturali di che sanno? Sanno di vino, ovviamente, ma in un modo così intenso e vario che probabilmente non somiglierà a quello a cui sei abituata. A volte troverai vini arancioni, cioè bianchi che fanno qualche giorno di macerazione sulle bucce e ne estraggono colore e complessità. E troverai anche vini un po’ torbidi o con un po’ di deposito perché spesso i vini naturali non sono filtrati (perché filtrare se tutto quello che c’è nel vino è roba buona? Quasi sempre la filtrazione ha una mera funzione estetica). Anzi, ti dirò che la torbidità e il deposito possono essere un buon indizio che quello che stai per bere è proprio un vino naturale, un vino integrale.
Ti capiterà di sentire acidità più spiccate, lievi ossidazioni, sentori più “selvaggi” e certo può capitare anche di incontrare difetti veri e propri, perché ci sono vini naturali buoni e altri meno buoni, proprio come i vini convenzionali.
Scoprirai moltissimi vitigni locali e alcuni di questi forse non li avrai mai sentiti: slarina, dorona, sciascinoso… Questa è una gran cosa se pensi che l’Italia ha la più grande varietà di uve del mondo, travolta nei decenni passati dalla moda dei vitigni internazionali (merlot, cabernet, chardonnay…) più prestanti e adattabili. I vignaioli naturali in molti casi recuperano e tutelano le varietà locali, con gran guadagno della biodiversità generale e dei nostri palati.
Il vino naturale, vedrai, ti farà anche viaggiare fuori dai territori blasonati del vino e te ne farà scoprire molti altri, meno famosi ma non meno vocati. E forse la smetterai di ordinare Chianti o Franciacorta o Prosecco e ti avventurerai a chiedere un vino della Tuscia, della Lucchesia, dell’Irpinia. E insieme ai territori scoprirai tante piccole cantine, perché il metodo naturale non si adatta alle grandi aziende.
In generale, mi sento di dirti: sii curiosa. E preparati a una grande diversità, nei profumi e nei sapori. Perché ogni vino sarà un’espressione del territorio e dell’annata senza mediazioni o correzioni che lo facciano somigliare al gusto già noto al pubblico, a quello prescritto dalle denominazioni o al canone dei sommelier. E anche perché in tutto e per tutto sarà un vino vivo, che evolve costantemente, a volte anche in modo imprevedibile.
Alcuni ti piaceranno, altri meno e va bene così. Magari continuerai a preferire i vini convenzionali, che è legittimo perché anche tra i convenzionali ci sono produttori che fanno vini buoni e rispettabili.
Però ecco ora sai di che parliamo quando parliamo di naturale e, se sarai curiosa per davvero, credo che ti divertirai un mondo.
Qui sotto qualche esempio di vignaioli naturali
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